Vicini a Nazaret si trovano due siti archeologici famosi: Meghiddo e Sefforis e tre luoghi testimoni di gesti memorabili da parte di Gesù: Cana, il monte della Trasfigurazione e Naim.

Ci soffermeremo a parlare di Sefforis, Cana e Tabor.


SEFFORIS

È situata a circa sei chilometri a nord di Nazaret ed è meta sempre più apprezzata di pellegrini e turisti, grazie al suo parco archeologico.

La storia

Di Sefforis (Zippori in ebraico, Saffurie in arabo) la Bibbia non ne parla. Divenne importante quando i Romani ne fecero la capitale del distretto romano della Galilea.

Una tradizione cristiana vuole che fosse patria di Gioacchino ed Anna, i genitori di Maria.

Dopo la rivolta di Bar Kokhba (132-135), la repressione romana e la trasformazione di Gerusalemme in Aelia Capitolina, con la conseguente fuga di molti giudei in Galilea, Sefforis fu per un certo periodo la sede del Sinedrio e centro importante di studi rabbinici. Sembra che qui fu portata a termine la redazione della Mishnah, uno dei testi base del Talmud. E proprio il Talmud, parlando di questa città, attesta che vi fossero, in questo periodo, diciotto sinagoghe!

Nel 363 d.C. la città fu distrutta da un violento terremoto. Ricostruita, nel periodo bizantino fu sede vescovile. I Crociati elevarono qui una imponente basilica a tre navate, in onore di S. Anna, e che in parte si può tuttora ammirare. Essi fecero della collina di Sefforis una delle loro più importanti piazzeforti della Galilea.

Con la disfatta crociata a Hittin la città tornò in mano araba e finì per divenire un villaggio senza importanza.

Scomparve definitivamente nel 1948 distrutta dalle truppe israeliane. Unica delle sue abitazioni a salvarsi fu il collegio tenuto dalle suore di S. Anna, grazie al coraggio eccezionale di una di esse. Oggi i resti di Sefforis si intravedono tra le piante del bosco che ne ha preso il posto. A poca distanza si estende l’ebraico Moshav Zippori.

 

Il parco archeologico

Gli scavi iniziarono nel 1931, grazie ad una università americana, ma i risultati eclatanti che hanno ridato prestigio a Sefforis si devono a quelli che si sono susseguiti dal 1975 al 2003. Al termine si è provveduto anche a creare un nuovo accesso al parco archeologico, per non creare problemi alla vita del Moshav.

La visita inizia vicino al primo parcheggio con la possibilità di ammirare l’antica riserva d’acqua, che nell’antichità costituiva quasi sempre un’opera fondamentale e di eccezionale ingegneria.

Superate quindi le strutture di accoglienza del parco si incontra il «Cardo» romano della città, percorso il quale, sulla sinistra, si giunge ad alcune abitazioni di epoca bizantina ricchi di mosaici a temi vari, alcuni dei quali ambientati in paesaggi nilotici.

Ripercorso il Cardo, dove oltre il colonnato, si possono notare i resti di alcuni palazzi e di una chiesa, ci si porta al gioiello di Sefforis, la casa di Orfeo. Si tratta di una ricca abitazione del III secolo con il triclinio decorato da un pavimento a mosaico, di eccezionale fattura, raffigurante scene della vita e del culto di Dionisio. La perla dell’opera è il volto  della padrona di casa, che è stata chiamata «la Monna Lisa della Galilea».

Da questo scrigno meraviglioso si sale poi alla fortezza crociata, trasformata nel XVIII secolo dall’emiro Daher-el-Omar. In una sala superiore si trova il piccolo museo e la storia di Sefforis. Da qui si accede ad una terrazza con una bella vista sulla valle e le colline circostanti.

Proseguendo il percorso archeologico si passa attraverso i resti della città del periodo rabbinico, e ci si affaccia sull’angolo panoramico prospiciente il collegio di S. Anna, tuttora fiorente, e la basilica crociata che, riscattata dai francescani nel 1841, è stata ora affidata ai religiosi del Verbo Incarnato. Oggi però chi vuole recarsi a visitare la basilica e il collegio non può farlo dal parco archeologico, ma  deve entrare nel Moshav e seguire l’antico percorso.

La visita al parco si conclude con il teatro romano, opera degna del prestigio della città, con i suoi 4500 posti a sedere e la sua pregevole fattura. Opera però non certo gradita ai cittadini ebrei perché esaltava, con le sue rappresentazioni, la vita edonista e pagana del mondo romano in una città ebraica. Esprimono bene i loro sentimenti le parole riportate da Rabbì Shimon Ben Pazi: «“Felice l’uomo che non entra nel consiglio degli empi e non siede in compagnia degli stolti” (Sal 1,1)… Felice l’uomo che non va a teatro e ai circoli di quelli che adorano le stelle» (Talmud Babilonese).

fratel Alvaro