È il secondo anno che partecipo al mukhayyam (campo) estivo con i ragazzi di Sefforis e condivido con questo breve articolo la gioia di tale esperienza. In realtà sarebbe stato molto più bello pubblicare le immagini dei volti dei ragazzi che, come sappiamo, dicono molto più delle parole, ma per problemi di privacy non ci è possibile farlo.
Raccontiamo allora. Il campo non ha grandi strutture organizzative legate a temi, luoghi, ecc, come potrebbero essere i nostri campeggi e oratori parrocchiali. Per questi ragazzi è solo offerta l’occasione di due settimane di svago dalla quotidianità spesso faticosa e sofferta a causa dei loro non piccoli problemi. In questo tempo estivo dunque quale strumento di distrazione e di relax migliore dell’acqua? Così per quindici giorni ci siamo recati in alcune piscine della zona, a Tiberiade e ai piedi dei monti di Gelboe (Ain Harud).
Tutti i giorni anche io sono sceso in acqua per nuotare, scherzare, giocare con i bimbi, felicissimi di un compagno di giochi più grande che condivideva la loro gioia.
Un primo obiettivo però era quello di insegnare i primi rudimenti del nuoto, soprattutto per coloro che non ne avevano molta esperienza. Devo dire che dopo le due settimane, soprattutto alcuni, sono riusciti a muovere le prime bracciate rimanendo a galla senza paura. Quindi… obiettivo raggiunto!
Ma il vero scopo è pure quello di accrescere l’amicizia tra loro e tra il gruppo delle maestre e degli educatori. Qui vorrei portare la mia esperienza personale. Due episodi.
Il primo riguarda un bimbo di circa 8 anni che mi ha colpito per la sua straordinaria capacità di farti le domande meno scontate e più profonde quando meno te lo aspetti. Durante il gioco, quando sei preso dall’impegno di aiutare a divertirsi, ti esce fuori con la domanda: «Perché all’istituto tutti ti vogliono bene?». Sono rimasto lì, senza parole, non sapendo bene cosa rispondere. Ma questa domanda credo me la porterò dentro per un po’.
Il secondo riguarda una ragazza di 17 anni, arrivata da pochissimo a Sefforis. Dal modo in cui nei miei confronti stava sulle sue, ho capito che doveva avere avuto molti problemi nella sua infanzia e adolescenza dall’universo maschile. Così ho pensato di stare alla larga e di lasciarle il tempo per abituarsi alla mia presenza in un ambiente di presenza educativa quasi unicamente femminile. Le rivolgevo il saluto solo quando ci si incontrava casualmente ma, sulle prime, nessuna risposta. L’ultimo giorno del campo, mentre mi divertivo a far giocare i ragazzi con alcuni bans in italiano tentando maldestre traduzioni in arabo, me la sono vista arrivare e sedersi di fronte a me: «Ciao abouna, come ti chiami?». Mi ha fatto un immenso piacere scorgere nel suo atteggiamento la decisione che poteva fidarsi e che era arrivato il momento da parte sua di togliere il muro. Mi è piaciuto anche perché mi sono convinto ancor più che con questi ragazzi, ma con le persone in generale, è necessario sempre rispettare i tempi dell’altro, senza mai forzare, lasciando che ognuno faccia la sua strada e si apra spontaneamente all’incontro e alla condivisione.
Così il bilancio è in tutto positivo, a parte la dovuta stanchezza e qualche bruciatura per il troppo sole al quale ormai non ero più abituato. Speriamo che questa semplice condivisione di vita possa crescere ed essere realmente di aiuto per questi nostri fratelli.
fratel Marco
grazie fratello marco di questo bell’articolo!
lunedì parto anch’io per un altro mukhayyem…
avremo 3 piscinette per 58 bambini.
ti racconterò!
andrea
Ciao Marco,
ormai avrai capito che mi piace leggere i tuoi articoli.
Bella esperienza! Di sicuro per te e soprattutto per i ragazzi.
Grazie! e così…, mi sento più vicina a voi.
Un abbraccio
pia
Grazie a te per il commento Andres! Buon campo allora anche a voi!!!
Aspetto tue notizie,
Marco
Grazie cara Pia della compagnia con la lettura e l’invio dei dommenti..
Si, davvero una bella esperienza!
Ciao fratel Marco, anch’io vorrei fare una esperienza con voi a Nazareth. Barbara, da Pistoia.