Pubblichiamo volentieri la testimonianza di un “vecchio amico” di fratel Carlo Carretto. Qualcuno penserà – forse – che esageriamo un po’ nel ritornare al tema, ma il fatto sorprendente è che ogni volta che pensiamo di aver detto tutto, all’improvviso “spunta” un altro testimone che arriva e ci dice: «sono stato sulla tomba di fratel Carlo per chiedergli di pregare per la mia fede, così come ce lo ha suggerito». Ci perdonerà il nostro testimone se gli dedichiamo così poco spazio ma fare diversamente sarebbe come pretendere di trasportare l’Etna su una barchetta!
Si ritorna pieni di gratitudine nei luoghi che hanno segnato momenti di transizione particolarmente importanti nella propria vita spirituale. Si ritorna con tanti scopi a volte i più diversi. Per un ricupero sentimentale e a volte invece per capire meglio ciò che quel fatto vissuto ha rappresentato per la propria formazione umana e spirituale.
Sono tornato a Spello dopo diversi anni e ho sostato davanti a quelle due lastre di pietra rossa del monte Subasio sotto le quali riposano i piccoli fratelli Carlo Carretto ed Ermete.
Non era importante se loro erano ancora in vita oppure no. Erano presenti comunque davanti a me: presenze fortissime impalpabili ma esistenti come vive. Non mi dicevano nulla, mi sorridevano e annuivano con il loro capo e il loro indimenticabile sorriso.
Avevo tutto in mente e nel cuore l’esortazione di Carlo di andare nel deserto dopo aver ascoltato con pazienza la mia tribolazione d’uomo trentenne che aveva perso ogni riferimento cristiano per la confusione di una vita distratta mai sufficientemente meditata e mi aveva suggerito di raggiungere fratel Ermete a Beni Abbés. Immediata da parte di Carlo era stata la valutazione della mia ferita e la cura prospettata con certezza e fede.
Ma chi era mai quell’arabazzo che spingendo la sua bicicletta sulla sabbia apparso da dietro una duna dopo una mia attesa di alcune ore e tremila chilometri di deserto che avevo percorso? E subito senza preliminari mi accoglieva con in dialetto romagnolo confidenziale pregno di disarmante e sconcertante affetto. Sì, Ermete era vestito così sul luogo di lavoro, ma smesso il suo ruolo di muratore procedeva subito con quiete e dolcezza a porre le fondamenta di una fede e di un pensiero che non si sarebbero mai più cancellati nel mio cuore. Quante belle frasi di colloqui “diretto” con Dio seduti sulla sabbia fresca che faceva da pavimento in quella minuscola chiesa!
Oggi, trentacinque anni dopo, ho pranzato con altri piccoli fratelli che mi anno accolto nell’abbazia di Sassovivo. Abbiamo parlato di tante cose e, come diceva Ermete durante la celebrazione della Santa Messa in quella minuscola capanna nel Sahara: «Vedi Adriano qui LUI è presente, ti ascolta ti vuole bene, come puoi dubitare o avere paura?». Ecco posso dire che pur riposando sotto quelle lastre di pietra Carlo ed Ermete erano tra noi e rinnovavano nello sguardo e nell’amicizia dei confratelli la loro affettuosa e sentita presenza.
Adriano Laiolo