Venerdì 30 luglio, con le campane dell’Angelus, ancora una volta l’angelo del Signore ha bussato alle nostre porte per portare in paradiso, carica di anni, mamma MADDALENA, mamma del nostro fratel Piero.

Non possiamo essere indifferenti a questo duplice passaggio dell’angelo del Signore nel giro di pochi giorni.

L’unico modo per comprendere il mistero della morte è saperlo presente pure nella vita del Signore: Gesù è morto. E, per questo, doveva  esserci anche per noi il mistero della morte.

Gesù non muore per ripetere una nostra esperienza: noi moriamo, Ma noi moriamo perché Gesù è morto. E’ nostro modello, non noi. Gesù è morto e anche noi, allora dobbiamo morire. La vera, la più profonda, la più intima assimilazione a Gesù rimane proprio il giorno della nostra morte, giorno in cui facciamo Pasqua!

Che cos’è la nostra morte?

E’ un nostro annichilimento, annullamento. E’ un nostro diventare niente. E’ lo stesso annientamento, annichilimento che Paolo ci descrive nella lettera ai Filippesi.

Gesù pure essendo Dio, ha accettato di diventare simile a noi. Si è annullato, diventando uomo e morendo, accettando nella obbedienza la morte in croce. L’annientamento della umanità, nella morte in croce. Diventa niente Gesù. Tutto diviene nulla. Però, per una risurrezione.

E la nostra morte, allora, è la morte di annientamento, il sacramento che ci identificherà a Gesù nel nulla. Ma per una risurrezione. È un sacramento ma, come ogni sacramento realizza le cose che esprime, presupponendo una trasformazione interiore. Ad esempio il sacramento della penitenza dona il perdono, regala l’amore, regala il grande dono dell’amore di Dio. Però vuole, esige, una mortificazione da noi, una penitenza, un perdono. Il sacramento dell’eucarestia realizza l’unità, ma spinge ed esige l’unità in noi, con tutti e, insieme, l’unità con Dio.

Così il sacramento della morte, esige e spinge ad una donazione totale dentro di noi ed è questa – bisogna notarlo – l’unica possibilità per la vita, l’unica possibilità per la resurrezione, l’unica possibilità per l’eternità: che noi moriamo.

La nostra vita è carica di eternità, è già immersa nell’eternità, non si vive nel tempo. Non vale la pena di vivere per il tempo. E’ troppo poco!

Il tempo è veramente tutta una illusione, se non viene prospettato nell’eternità, in Gesù. La storia umana, cioè la storia nostra di tutti i giorni, se ci pensiamo bene, è un invecchiamento. E va verso la morte. Andiamo verso la morte; continuamente, tutti i giorni.

Ma nel Cristo c’è invece una presa di coscienza della sua morte che non è una morte, ma è la tensione verso 1’eternità, verso la risurrezione, verso la vita.

Non si tratta di andare avanti, non si tratta di camminare e camminare, si tratta di sprofondare in Gesù. Perché tutto è presente in Lui, in Lui tutto è attuale, tutto si realizza: così ogni giorno! Ogni momento è l’oggi del giorno di Gesù.

E tutto questo mistero, tutta questa morte si risolvono nel rito della Messa: il passaggio del Signore. E’ nella sua Morte che tutto muore ed è nella Sua resurrezione che tutto risorge. La Sua morte è la nostra morte, la Sua resurrezione è la nostra risurrezione. Non c’è più nessuna differenza.

Nella Messa tutto si risolve e acquista il suo significato più autentico.

«Ogni volta che farete questo, lo farete in memoria di me. Annunzierete la morte finché io ritornerò». Ogni, giorno nell’eucarestia, noi annunciamo il mistero della morte di Gesù e della morte nostra. Per la vita.

E allora, che cos’è la morte?

E’ una cosa apparente. E’ una illusione. Come possiamo, affermare questo? «Chi mangia di questo pane vivrà in eterno» ha detto Gesù. Se noi, pure avendo mangiato questo pane moriamo, vuole dire che la nostra morte non è cosa reale. È apparente. Ma io testimonio questa fede? Testimonio questa gioia? Questa fiducia, questa certezza nel futuro, nell’eternità, nell’avvenire nella vita? Testimoniare, cioè lo faccio vedere? Gli altri si accorgono? Non dobbiamo mai dimenticare che il dono della fede ci è stato regalato anche per gli altri.

Il vescovo Gualtiero porgendo le condoglianze ai nostri fratelli Oswaldo e Piero ricordava tutto questo dicendo loro: “La morte non è l’ultima parola ma la penultima, l’ultima è Gesù il risorto”.

fratel Gian Carlo