In questa torrida estate folignate ho fatto una foto all’interno della parrocchia di Sant’Egidio affidata alla nostra comunità…normalmente la chiesa è piccola, ma d’estate risulta addirittura abbondante; stasera uno a uno: Gesù e un fedele!
Ma non sono triste, anzi ho più spazio per pregare e per pensare…
Quando penso alla vocazione di Nazaret di frere Charles e a come l’ha vissuta dapprima in Terra Santa e poi nel deserto del Sahara mi chiedo se una parrocchia possa essere un luogo dove viverla.
La nostra scommessa é di essere piccoli fratelli al servizio della chiesa locale, assumendola come Nazaret, come ambiente vitale nel quale ci inseriamo come fraternità con la nostra vita di preghiera e di amicizia con gli uomini.
E’ chiaro che la nostra vita comune, particolarmente con i suoi momenti di preghiera, fa la nostra differenza, ci qualifica come piccoli fratelli. La difficoltà forse arriva nel considerare il servizio alla chiesa locale che rischia di porti su un livello diverso da quello dell’amicizia gratuita con gli uomini. In una parrocchia, per esempio, dove devi esercitare un ministero che ti può far percepire come uno che sta dall’altra parte della barricata, che deve magari dare un giudizio su una situazione, confesso che mi sento a volte fuori da un discorso di amicizia disinteressata…mi cercano per chiedere di usare un locale per un compleanno, per far la prima comunione, per il funerale e via dicendo, non certo per amicizia!!
Eppure credo che la parrocchia debba essere costitutivamente luogo di amicizia e fraternità e allora la nostra piccolissima testimonianza ad intra (come comunità dei fratelli) e ad extra (“aria che si respira” nella comunità parrocchiale), sia almeno interessante che ci sia!
Stasera mi sono sentito dire da un giovane che domani celebrerà il matrimonio: “so che non puoi venire nemmeno all’aperitivo dopo la messa perché starai a Sassovivo con i fratelli, ma mi sembra importante per te e giusto che sia così”; confesso che è stata una consolazione e una confema di questa testimonianza ad intra che evidentemente si vede e penso sia bello sapere che il tuo prete non è un solitario, ma ha una famiglia di fratelli nella quale vive!
Sulla testimonianza ad extra credo che tanti piccoli segni di accoglienza possano essere posti in una parrocchia per dare un primato alla fraternità sull’aziendalità che tante volte sembra essere il metro per valutare la vita parrocchiale. Visitare i malati, visitare le famiglie, essere abbordabili da tutti…e chi più ne ha più ne metta!
fratel Gabriele