«Vegliate dunque, perché non conoscete né il giorno né l’ora». L’atteggiamento normale del cristiano deve essere proprio quello delle dieci vergini del Vangelo; donne che aspettano lo sposo, come altrove Gesù ci richiamerà l’altro esempio del servo che attende il ritorno del padrone, mi pare perciò che la più grande preghiera, l’autentica preghiera cristiana, sia la preghiera della speranza, sia la preghiera dei primi cristiani, che erano in costante attesa del ritorno del Signore e la pronunciavano spessissimo: «Maranatha! Vieni Signore Gesù, ti aspetto!».

Un filosofo danese, che leggevo in questi giorni, ha scritto che il punto di partenza del cristianesimo è sempre un momento di disperazione: il punto di partenza della conversione verso il Cristo è un bivio: o si parte verso il cristianesimo o si parte per il suicidio.

Ed è così: Dio è venuto a salvare quello che era perduto, ma sino a quando io non mi sento perduto, Dio non mi salverà. Egli è venuto per i peccatori, ma Gesù non mi potrà sanare, sino a quando io non mi sento peccatore: ed è pericoloso, pericolosissimo trovarsi al limite del peccato, trovarsi al limite della disperazione… ma quando mi sento affaticato e oppresso, Gesù mi risponde; «Venite a me disperati, io porto a speranza». Tutta la Bibbia. tutto l’Antico Testamento, tutta la storia degli ebrei, è la storia di un Dio che salva della gente disperata; si tratta di riprendere in mano i mezzi per potere continuare a camminare, a sperare, per potere ricominciare da capo.

La fede cristiana non significa mancanza di prove, non è la soppressione di una esperienza che mi comprometta, di una esperienza faticosa che rischi il pericolo del peccato. Il cristianesimo non è esclusione del pericolo, nemmeno del peccato, bensì è dare alla situazione, alla prova, il suo posto: e l’esperienza e la prova, come tutto ciò che è umano, saranno un giorno per la gloria del Padre.

Tutto questo può lasciarci perplessi, ma mi pare che nel Vangelo non ci sia la salvaguardia, la messa in opera di tutto un nuovo meccanismo per proteggerci. Il rischio continuo è il punto di incontro tra Dio e l’uomo. Certo, se Dio non lo metteva alla prova, Adamo non avrebbe peccato: se Dio non lo metteva alla prova, Giona non avrebbe fatto quello che ha fatto, non sarebbe scappato da Dio: eppure Dio lo ha accettato.

Nel libro dell’Ecclesiaste la disperazione è ammessa: la disperazione è presente nel mondo, perché è costituita sul peccato. Ma 1’ultima, la più grande disperazione, è la nostra situazione di peccato, che è continuamente presente nella nostra vita.

Dobbiamo avere il coraggio di ammettere il peccato: troppo spesso non lo accettiamo, perché non capiamo la speranza che Dio è capace di portare nella nostra colpa. Diciamo: «Sono stato assolto tante volte, ho avuto il coraggio altrettante volte di ricominciare», siamo sempre uguali, forse peggiori: sentiamo di disperare davanti alla misericordia divina. In fondo alla nostra vita ammettiamo che il nostro peccato non possa essere perdonato, che Dio non possa guardarci, che ne abbiamo troppo approfittato. Noi crediamo ancora all’amore di Dio e pensiamo che sia ancora passibile il perdono, ma per gli altri, non per noi. E questa concezione porta al vero peccato contro l’amore, contro lo Spirito Santo. «Dio si è allontanato da me e io non sono più legato al mio Signore: posso sentirmi oramai libero». Io credo che questo sia il più grande peccato, perché è contro l’amore e se uno crede ancora, ma non ama, è in peccato grave.

Anche i demoni credono e forse anche più di noi, ma sono demoni perché non amano. Chi non accetta l’amore, chi non accetta la speranza, rifiuta la vita, quindi è un suicida. Non mi importa del peccato. La fede è una grande cosa, ma è nulla senza l’amore ed è nulla senza la speranza, soprattutto senza la speranza dell’amore.

«Ecco lo sposo andategli incontro: vieni, Signore Gesù!»

fratel Gian Carlo