Gli ultimi dieci giorni sono stati davvero pesanti per questa terra. Ho seguito costantemente le notizie che riuscivo a leggere dai diversi siti web e che in parte ho condiviso nell’apposito spazio del nostro blog.
Proprio ieri facevo il mio solito giro di lettura-informazione quando mi sono imbattuto in un’immagine ed una scritta comparsa sul sito dell’ANSA. L’immagine era quella di una parte di spettatori in uno stadio con lo striscione che diceva: “Free Gaza” con accanto una bandiera della Palestina. Il titolo che presentava la carrellata di foto era: “Quando gli striscioni seminano odio”. Sconcertante! Basta dire un opinione sulla Palestina che subito sei tacciato di essere terrorista, pericoloso, persona che semina odio.
La cosa agghiacciante era che nelle foto successive si presentavano immagini di curve che esponevano bandiere con simboli nazisti. Capite? Dire che si vorrebbe Gaza liberata dal peso e dall’oppressione, dal laccio che stringe e che fa morire, equivale ad esprimere opinioni che si ispirano al pensiero nazista! E vale lo striscione “Free Gaza” come una bandiera con la croce celtica di hitleriana memoria.
Purtroppo non posso non fare il collegamento all’atteggiamento tipico da queste parti, ma forse ancor più in Europa e in Occidente, per cui se dici qualche cosa contro lo stato di Israele sei subito tacciato di antisemitismo. E non posso non pensare che dietro questa semplice costruzione grafica del servizio fotografico ci sia un preciso disegno politico.
Quando arrivano amici dall’Italia, come forse ho già detto in qualche altro post, non manco mai di far loro visitare il museo dell’olocausto (Yad Vashem) perché ritengo che la memoria e la conoscenza della storia sia uno dei pochi mezzi che abbiamo per non ripetere gli stessi errori. Ma poi li porto anche nei Territori Palestinesi, per far loro conoscere come la storia non sempre insegni.
Ora a Gaza c’è la tregua… E tutti si sono messi l’anima in pace, soprattutto in Europa dove ci si illude che le cose siano tornate alla normalità (fino alla prossima escalation di violenza). Dal 2007 Gaza è chiusa in una morsa che non consente di vivere, di lavorare, di prosperare, di sognare, di pensare, di spostarsi (una popolazione di un milione e mezzo di persone che vive in meno di 400 chilometri quadrati)… Questi sono gli ingredienti migliori per produrre uomini e donne disperati per cui la vita non vale poi così tanto e che sono disposte anche ad atti estremi pur di “fare qualche cosa”, sognando magari di poter cambiare di un poco la situazione.
Mai come oggi lo sforzo di informarsi, di capire, di pensare e di lottare sono impegni etici che non si possono demandare ad altri e che, soprattutto in occidente, ogni uomo e donna di buona volontà devono praticare.
fartel Marco
Quanta verità c’è in quello che pensi e scrivi… come sai ho visitato entrambi
i luoghi di cui scrivi nel tuo articolo e come amo questa terra.
La sofferenza c’è stata per “loro” e non bisogna dimenticare,
adesso è presente per “gli altri” in maniera diversa e allora,
anche adesso non dobbiamo dimenticare o far finta di niente.
Ma noi non vogliamo vedere, vogliamo ignorare ci basta guardare
soltanto il nostro piccolo cortile e dare soltanto giudizi assurdi senza la minima
conoscenza dei fatti o delle situazioni reali.
In questi giorni di “guerra”, nel mio ufficio, qualche collega veniva a chiedere:
“come sta la Palestinese?” riferendosi a me.
Ecco chi siamo e come ci comportiamo.