[Immagine dal sito aleteia.org]
Non ci è sfuggito il singolare anniversario della Lettera Enciclica “Pacem in Terris” di papa Giovanni XXIII, datata 11 aprile 1963, anche se non ci è stato possibile pubblicare questo post nel giorno preciso.
Non è possibile qui descrivere in modo esauriente i contenuti dell’enciclica come anche la portata che ha avuto questo documento in campo ecclesiale e sociale, con tutti gli aspetti di evidente attualità che ancora oggi avrebbero molto da dire.
Per celebrare questo cinquantesimo anniversario della Pacem in Terris ci piace riportare alcune riflessioni fatte a caldo da padre René Voillaume, uno dei Padri della nostra famiglia foucauldiana, in due lettere ai piccoli fratelli, da Lima e da Bogotà, datate rispettivamente 21 aprile e 3 maggio 1963, a pochi giorni di distanza dunque dalla pubblicazione dell’Enciclica.
Nella prima riflessione, da Lima, si sofferma sull’apertura che la Pacem in Terris opera in favore di coloro che si adoperano per i poveri, per la giustizia e per la pace:
«… Più ci penso e più mi pare che quest’enciclica rivesta un’importanza di cui ci si renderà esatto conto solo in futuro. Confesso di aver provato un’immensa gioia nel sentir esprimere dal Papa con tanta forza, chiarezza e serenità, pensieri e desideri che io avevo forti nell’intimo […]. La lettura del passo riguardante la collaborazione con i non cattolici mi ha commosso più di quanto non saprei dire. […]
Queste direttive della Chiesa apriranno concrete possibilità di azione ai cristiani desiderosi di lavorare efficacemente alla promozione umana e cristiana dei poveri e dei lavoratori.
È così facile mantenere la pace della coscienza e la sicurezza della propria situazione condannando quelli che – a forza di amare i poveri – esagerano un po’ e sbagliano nell’affermare, in modo troppo assoluto, certi principi. A coloro che si impegnano e si compromettono, a coloro che – con una certa mancanza di misura voluta come testimonianza – sostengono a loro spese i valori di pace e di non-violenza, di rispetto e di amore per i poveri, non sarà perdonato di sbagliare un po’, di fare qualche passo falso. È così facile non sbagliare quando non si fa niente; è così facile non superare la misura in forza di una prudenza calcolatrice che non osa intraprendere più nulla, né sacrificare o compromettere alcunché!
Per coloro che non sono chiamati a impegnarsi all’azione è troppo facile rimproverare a coloro che vi si danno con totale generosità e buona fede gli errori a cui possono lasciarsi trascinare loro malgrado. Santa Teresa d’Avila diceva che coloro che vogliono correre sulla via dell’amore, non potranno far a meno di avere i piedi coperti dalla polvere delle imperfezioni, e che val meglio rischiare questo per amore piuttosto che astenersi dal camminare per paura di sporcarsi i piedi con il fango della strada!»
Nella seconda p. Voillaume mette in evidenza come anche un’ enciclica di enorme valore, quale è la Pacem in Terris, non possa essere di per sé un programma politico in senso stretto e sottolinea come la stessa enciclica restituisca valore all’impegno dei laici competenti in materia e ribadisca la necessaria astensione della Gerarchia dal scendere in campo politico in maniera diretta.
«Quale confusione continua a regnare a proposito dell’insegnamento dei Papi nelle encicliche! Come se si potesse farne materia di un programma propriamente politico! […] L’insegnamento della Chiesa non può però costituire in se stesso un programma politico; qui è l’errore.
Questo insegnamento resta nella sfera dei principi. La loro concreta applicazione è dominio proprio dei programmi di azione politica e questi potranno essere numerosi a seconda della diversità delle situazioni e anche – bisogna pur dirlo – delle abitudini di pensieri e dei temperamenti degli uomini politici a cui spetta concretizzarli. Vi sarà sempre una politica di sinistra e una di destra che, entrambe, potranno venir definite riferendosi all’insegnamento della Chiesa. […]
Ora vi è un modo di considerare la cose umane che attribuisce grande importanza ai valori dell’ordine stabilito e alla ricchezza economica, e vi è un altro modo che si pone prima di tutto dal punto di vista dei poveri. Questi ultimi hanno il torto di non essere competenti, e le loro aspirazioni contraddicono, talvolta, le regole sane e razionali di una economia capitalistica ben gestita. Mi pare che ci sia una prudenza dei poveri e una prudenza dei ricchi. E se mi rattristo è perché la maggioranza delle reazioni politiche dei cristiani si ispirano più alla prudenza dei ricchi che a quella dei poveri. L’insegnamento molto chiaro del Santo Padre, nell’ultima enciclica, afferma che ogni opzione politica dipende in primo luogo dalla responsabilità dei laici competenti. Il che significa che la Chiesa, nella sua gerarchia, pur conservando il diritto sovrano di giudicare tutte le imprese umane dal punto di vista della morale divina, non deve scendere nell’arengo politico. Voglia il Cielo che questa suprema saggezza sia capita, e che quanti si pongono, in politica, dal punto di vista dei poveri, anche a costo di qualche errore, non siano più costantemente giudicati e condannati senza misericordia come gente che si stacca dall’insegnamento della Chiesa».
Ci auguriamo che questi pensieri possano essere di stimolo per tornare a leggere il documento di Papa Giovanni e, sulla scia delle novità che lo Spirito sta operando nella Chiesa di oggi, possano ispirare nuovo slancio nell’annuncio del Vangelo con e per i poveri e un rinnovato impegno politico.
fratel Marco