Gli amici che ci hanno seguito nell’ultima tappa del nostro itinerario hanno gradito molto le foto scattate da Marco a Gerico e in modo particolare quelle del monastero e degli eremi della Quarantena.

Questo ci ha spinto ad approfondire il fenomeno del monachesimo cristiano nel deserto di Giuda, dove ha avuto una vita fiorentissima nel IV-VI secolo e dove conserva tuttora non solo ricordi archeologici ma anche una presenza significativa di alta spiritualità. Parliamo di monachesimo cristiano perché precedentemente questo deserto conobbe la presenza monastica degli Esseni a Qumran, di fronte al mar Morto, come molti sanno, in particolare gli specialisti di scienze bibliche e i pellegrini.



Ciò che diremo dal punto di vista storico lo dobbiamo soprattutto al volume “il deserto di Giuda” di Pia Compagnoni, la mitica guida della Terra del Santo, che ricordiamo sempre con profonda gratitudine, anche per averci voluto tra i suoi amici. E a un altro carissimo amico, anch’egli guida eccezionale, Lorenzo, dobbiamo la visita accurata ai luoghi più significativi che presentiamo.

Il Monachesimo

La prima presenza monastica cristiana la troviamo in Egitto con il piccolo gruppo che si ritirò sul Sinai nel 250. Furono però Antonio (+356), Pacomio (+346) e Macario (+390) sempre in Egitto, Caritone (+355 ca.) e Ilarione (+371) nella Terra del Santo a fare esplodere in tutta la sua forza questa forma di vita voluta dallo Spirito e che in breve tempo si diffuse in tutto l’Oriente e in Occidente ridonando alla Chiesa quella vitalità e quella passione che si era andata affievolendo con la pace costantiniana.

Ilarione di Gaza, amico e discepolo di Antonio, dette origine nella sua terra natale ad un movimento monastico molto importante per aver annoverato, tra gli altri, maestri del calibro di Barsanufio, Giovanni e Doroteo di Gaza.

Caritone, originario di Iconio (oggi Konya in Turkia), fu l’iniziatore e il modello, potremmo dire “la regola” della caratteristica vita monastica del deserto di Giuda che si esprime soprattutto nella “laura”. «La laura – scrive Pia Compagnoni – è un’istituzione monastica propria del deserto di Giuda. Essa rappresenta l’agglomerato di celle dove vivono gli anacoreti già iniziati alla vita monastica… Il nome stesso fa pensare a gole, ai torrenti del deserto di Giuda, dove le pareti rocciose, verticali o dirupate, si stagliano contro cieli tersi di luce. Da qui è nata la parola “laura”, che in greco significa “via stretta” o “viuzza” che indicò in seguito le istallazioni monastiche degli anacoreti della Terra Santa… Nelle laure rupestri il nucleo centrale è addossato, quando addirittura non è ricavato da qualche grotta della parete rocciosa della montagna» (Pia Compagnoni, o.c. 91-92). Facciamo dunque la conoscenza di questo personaggio troppo trascurato ma a cui la Chiesa universale deve tanto.

San Caritone

L’ignoto autore della “vita” di Caritone, scritta probabilmente nel VI secolo dopo aver raccolto sul posto le tradizioni orali che si conservavano nella laura di Faran, ci dice che egli da giovane subì persecuzioni per il suo essere cristiano. Desideroso di visitare la terra di Gesù lasciò Iconio e si diresse verso Gerusalemme. Giunto ormai vicinissimo alla città santa fu rapito da alcuni ladri e portato in una grotta vicino alla sorgente del Fara (il torrente Eufrate di cui parla Geremia al capitolo 13 e che sgorga non lontano da Anatoth, oggi Anata, la sua città). Liberato in modo ritenuto prodigioso dal suo biografo, Caritone decise di non abbandonare più quel luogo per dedicarsi alla preghiera e visitare con frequenza i luoghi della passione di Gesù.

In questa piccola oasi, incastonata in una delle tante gole delle montagne di Giuda, Caritone, come Antonio nella sua terra, fu preparato a lungo dallo Spirito a divenire padre di una moltitudine di monaci. Con la fine delle persecuzioni infatti le grotte delle pareti del Wadi Fara si riempirono di uomini che, attratti da quell’eremita di cui tanto si parlava, chiedevano di condividerne la vita. Quando il numero dei seguaci crebbe costruì una chiesetta per la celebrazione eucaristica domenicale, unico momento in comune degli anacoreti. Il vescovo di Gerusalemme Macario (314-333) venne a benedirla, dando così la sua approvazione all’opera di Caritone.

La storia di Caritone ci ha spinto a conoscere questo luogo importante e così scendendo da Gerusalemme verso il mar Morto abbiamo imboccato, poco sotto Macale Adumim, la strada 437 che sale verso Ramallah e dopo circa otto chilometri abbiamo deviato per Almon da dove una strada ripidissima, stretta e tutta curve, porta alla sorgente del Fara (in ebraico En Prat, come dice la segnaletica).

Credevamo di essere i soli visitatori ed invece le auto non si contano e non possiamo arrivare alla sorgente ma dobbiamo fermarci al primo parcheggio in alto. È sabato e molti da Gerusalemme sono venuti a godersi in quest’oasi di acqua e di verde una stupenda giornata di sole insieme all’immancabile barbecue.

Ci siamo fermati a contemplare dall’alto degli scogli della parete sud questa gola tanto amata da Caritone. Ecco laggiù la sorgente, il laghetto e le alte piante che lo ombreggiano e poco distante, sulla parete nord, la grotta di san Ciriaco che, agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, accolse un monaco di origine ebraica venuto dalla Francia alla “ricerca del volto di Dio” e che fu presto chiamato a contemplarlo in pienezza. Allargando poi lo sguardo ecco più avanti, abbarbicata sulla parete sud, la parte principale della laura rupestre con il conventino restaurato negli anni ’90 da un monaco venuto dall’est europeo. La vista poi si perde verso est affascinata dalla bellezza selvaggia delle rocce che costeggiano lo wadi che scende verso Gerico incontrando lungo il suo cammino il monastero di san Giorgio a Choziba, sorto nel V secolo e riattivato nel 1800, e che tante volte abbiamo ammirato.

Torneremo presto quassù, con calma, per immergerci in questo spicchio di paradiso, ascoltare e rivivere voci ed esperienze lontane ma sempre attuali.

 

Caritone a causa del continuo arrivo alla laura di aspiranti monaci dovette cercare un luogo adatto per iniziarne un’altra. Lo trovò sul monte della quarantena. Erano gli anni intorno al 340. Nacque così la laura di Duka, dal nome della fortezza asmonea posta sulla cima del monte non lontana dalla sorgente di En Duyuk.

Passato pochissimi anni dovette ripetere l’operazione ma in una zona più lontana vicino a Tekoa, la patria di Amos, a sud-est di Betlemme e non lontano dall’Herodyum. Si tratta della laura di Saka sullo wadi Karitun, in arabo o Nahal Tekoa, in ebraico.

La visita a questa laura e in modo particolare alla grotta del santo, che abbiamo potuto ammirare nelle condizioni migliori grazie ai preziosi accorgimenti di Lorenzo, rimane una delle esperienze più toccanti, capaci di riaccendere ricordi, sentimenti e sogni estremamente importanti per il momento storico che nella Chiesa e nel mondo stiamo vivendo.

Caritone, una volta che la vita della nuova laura aveva preso il suo ritmo, chiese di poter tornare a morire a Faran. Ormai la creatura voluta dallo Spirito nella Terra del Santo poteva camminare con le sue gambe. Altri, gente della stoffa di Eutimio, Teodisto, Saba, Giorgio, Teodosio, Giovanni Damasceno avrebbero continuato l’opera che sarebbe sopravvissuta a persecuzioni e usura del tempo.

San Saba

Nacque nel 439 a Mutalasca vicino a Cesarea di Cappadocia in Asia Minore. Giovane entrò nel monastero di Flaviana, presso il suo villaggio. Ma venuto a conoscenza della fama di Caritone e della sua opera, proseguita da seguaci eccezionali, volle trasferirsi nella Terra del Santo, dove fu alla scuola di Eutimio e Teodisto e visse alcuni anni in una grotta sul torrente Mukellik non lontano dal cenobio di Teodisto. Cirillo di Scitopoli definisce il Mukellik «aspro, selvaggio, profondo, inaccessibile e terribile». Qui Saba si preparò a diventare il grande fondatore, ancora oggi il più conosciuto tra i monaci del deserto di Giuda. Così a 35 anni si rimise in cammino e vagabondo per il deserto giunse sul Gebel Muntar, il luogo sul quale veniva portato il capro espiatorio il giorno di Yom Kippur per esservi sacrificato per tutti i peccati di Israele (Lev 16,22). Si tratta di un punto panoramico eccezionale. Saba da lassù rimase colpito dalle pareti del Cedron ed ebbe l’impressione che una voce gli dicesse : «se vuoi fare del deserto una città, fermati qui…».

Si fermò Saba in una grotta sulla parete orientale del torrente. Era il 478 e per cinque anni vi rimase solo con il suo Dio. Poi cominciarono ad arrivare i cittadini promessigli. In poco tempo raggiunsero il numero di 70 ed egli dovette iniziare una laura. Trovò l’acqua in fondo al Cedron in un antro proprio sotto l’attuale monastero e da quel giorno l’acqua è stata la ricchezza più grande della laura. Quindi costruì la primitiva chiesa usando una grande caverna nella parete ovest dello wadi e che oggi è incorporata nel monastero. Fu l’inizio di una storia incredibile: a questa laura se ne aggiunsero altre tre e ben cinque cenobi.

Il patriarca Sallusto di Gerusalemme nel 490 ordinò Saba sacerdote e lo fece igumeno, superiore, di tutte le laure del deserto di Giuda, mentre fece superiore dei cenobiti Teodosio, il fondatore dell’omonimo monastero, l’amico più caro di Saba.

A questo punto, per capire che cosa era diventato il deserto di Giuda, va detto che nel 516, in piena discussione tra quanti nella Chiesa erano favorevoli alle decisioni del Concilio di Calcedonia e quanti contrari, Saba e Teodosio radunarono a Gerusalemme diecimila monaci favorevoli al Concilio per convincere il patriarca Giovanni ad accettarlo.

 

Oggi delle fondazioni di san Saba resta il monastero che porta il suo nome e che sorge al centro della sua prima laura. Siamo tornati a visitarlo con grande soddisfazione perché in questi ultimi anni i monaci hanno fatto un eccezionale salto di qualità: nel numero (vi sono molti giovani), nell’accoglienza, nel recupero e nel restauro di tutto il complesso, nel clima spirituale che vi si respira. Il padre fondatore sicuramente è contento dei suoi figli. Come lo sono i pellegrini che sempre più numerosi vengono a pregare e a contemplare le bellezze di questa meravigliosa oasi. Il deserto continua a fiorire. Anche grazie al monastero di san Teodosio, non molto distante da quello di san Saba, che da sempre è stato apprezzato da tutti per la bontà dei suoi monaci.

Più che scrivere sui due complessi vi invitiamo a rivedere le foto, che sono molto più eloquenti di ogni descrizione.

fratel Alvaro