Che valore può avere la vita anonima di miliardi di persone, che insieme a molte cose belle hanno avuto almeno altrettante difficoltà? Qual è il significato di una vita spesa nel lavoro, nell’impegno familiare e sociale? Può bastare aver costruito delle cose da lasciare a chi viene dopo di noi? Queste domande mi vengono quando incontro una persona anziana e ammalata, che si sta preparando a lasciare questa terra.
Conosciamo la risposta che il Qoelet da a tali interrogativi: «Vanità delle vanità, tutto è vanità»; e al discepolo che domandava che cosa significasse vanità il rabbino rispondeva che vanità è il vapore che esce dall’ultima delle sette pentole messe sul fuoco una sull’altra. Il valore della vita sarebbe dunque il vapore che esce dall’ultima pentola?
Leggendo una lettera, che il padre Voillaume scrisse da Nazareth nel 1948, ho trovato un’altra risposta che nasce dalla speranza cristiana: «la trascendenza della vita cristiana non disprezza l’umile esistenza del povero e dell’uomo oppresso dal lavoro quotidiano, ma che, al contrario, è là che essa deve germogliare e che vi può essere un seme di gloria nella stanchezza della vita terra terra degli umili». E’ dunque questo tesoro di gloria che Dio semina nella terra degli umili a dare significato ad ogni vita umana anche alla meno attraente. Ed è proprio questo destino soprannaturale dell’umanità, scrive sempre il padre Voillaume, che i piccoli fratelli e le piccole sorelle con la loro vita di castità e di preghiera tra la gente devono testimoniare. La speranza nel destino soprannaturale dell’umanità nasce dalla fede nell’amore di Dio, che si è rivelato in Gesù di Nazaret. La fede diventa allora, come scrive papa Francesco nell’enciclica «Lumen Fidei», una luce capace di illuminare tutta la vita, dalla sua origine fino al suo compimento; e in questa luce la morte diventa l’ultimo atto di abbandono in quel Dio che ci invita a lasciare la nostra terra.
fratel Roberto