SAM_2856È stata una bella esperienza l’aver presentato alcuni temi di Escatologia cristiana a un gruppo, piuttosto numeroso, di laici operatori pastorali. Innanzitutto è lodevole la loro generosità e la pazienza nell’aver seguito con interesse – fosse anche solo un’impressione – gli incontri in prima serata, quindi dopo la giornata lavorativa e prima della cena.

Poi i temi non è che fossero tanto piacevoli: morte, risurrezione della carne, vita eterna e gli immancabili “Novissimi”, ossia paradiso, inferno e purgatorio!

Una prima constatazione è la fissità che questi temi hanno trovato nella coscienza dei fedeli, ossia il permanere delle immagini dantesche della Divina Commedia particolarmente per quanto riguarda il giudizio universale e la raffigurazione del mistero del male. L’Escatologia è ancora considerata come «lo studio dell’al di là», proprio come veniva presentato nei manuali di teologia fino al Concilio Vaticano II. Così il nostro tentativo è stato quello di passare alla dottrina del Concilio e agli insegnamenti successivi. Ci sono dei documenti che sottolineano che è a partire da Cristo che trova piena luce anche la fede nella vita eterna. Ci è stato di aiuto l’affermazione del teologo Jürgen Moltmann quando dice che il concentrarsi esclusivamente sulle “cose ultime” guasta il sapore delle “penultime”, ossia le cose che viviamo nella nostra quotidianità.

Un passaggio centrale mi sembra l’affermazione di un intervento della Commissione Teologica Internazionale del 1990: «Bisogna avere una concezione dell’uomo e del mondo fondata sulla Scrittura e sulla ragione, che sia idonea a riconoscere l’alta vocazione dell’uomo e del mondo, in quanto creati. Ma bisogna sottolineare ancor più che Dio è il “novissimo” della creatura. In quanto raggiunto è cielo; in quanto perso, inferno; in quanto discerne, giudizio; in quanto purifica, purgatorio. Egli è colui nel quale il finito muore, e per il quale a lui e in lui risuscita. Egli è così come si volge al mondo, cioè, nel suo Figlio Gesù Cristo, che è la manifestazione di Dio e anche la somma dei “novissimi”».

Icona.Maria CarlaIn poche parole: non ci è di aiuto il pensare tanto a quello che verrà, e molto meno il tentativo di immaginare come sarà il paradiso, perché sarà tutta un’altra cosa! Piuttosto bisogna guardare a Gesù e all’uomo. Potremmo dire a questo proposito che frère Charles indicando Gesù quale “Modello unico” aveva proprio capito tutto! Amare Dio è più importante che temere il “post-mortem”. Mentre ci prepariamo a celebrare la festa della presentazione di Gesù al tempio mi sembra bello riportare un passaggio di una meditazione su Luca 2,39: «Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui»:

Che cos’è ch’Io v’insegno? Io v’insegno anzitutto che si può fare del bene agli uomini, molto bene, un bene infinito, un bene divino, senza parola, senza sermone, senza rumore, nel silenzio, e col dare il buon esempio… Quale esempio? Quello della pietà, dei doveri verso Dio amorevolmente compiuti, della bontà verso tutti gli uomini, della tenerezza verso quelli che ci circondano, dei doveri familiari santamente soddisfatti, della povertà, del lavoro, dell’abiezione, del raccoglimento, della solitudine, dell’oscurità di una vita nascosta in Dio, di una vita di preghiera, di penitenza, di ritiro, tutta perduta e inabissata in Dio […] perché nulla potrebbe mai essere così bello come la mia imitazione.

Insomma, se ognuno di noi facesse il suo compito con responsabilità e dedizione ci sarebbe meno spazio per la “banalità del male”, perché come ci ricordava recentemente mons. Bruno Forte, uno dei mali più grandi di questo nostro tempo è la perdita del senso del proprio dovere. Il cristiano non può dire “così fan tutti”, ma deve ricordare che in Gesù «il tempo è compiuto». Conoscere lui è entrare nella vita eterna.

 

fratel Oswaldo jc