Nel passato, su questo blog, sono usciti alcuni articoli a proposito del nostro nuovo lavoro all’ospedale «Santa Famiglia» di Nazaret. All’interno di questo servizio è inserita la partecipazione e l’animazione del gruppo che coadiuva i Fatebenefratelli e le Suore di Santa Maria Bambina nella «Cura Pastorale» degli ammalati e del personale.
Così da diversi mesi sono particolarmente coinvolto in questa opera che considero molto importante per la vita dello stesso ospedale. Questo è una fondazione cristiana, chiamata a diffondere nella cura dei malati, lo stile di Gesù e i valori cristiani. Obiettivi non semplici in nessun luogo della terra, ma in una società come quella Israeliana non lo è per molti aspetti. Uno tra tutti, senza dubbio, la convivenza tra le diverse culture e le diverse religioni che si trovano a condividere per forza di cose la comune prospettiva della malattia.
Ma quale disegno ha Dio su questo ospedale che vuole rimanere fedele alla sua vocazione fondamentale di «segno visibile» della carità di Cristo in mezzo ai popoli? Una domanda stimolante che non trova risposte scontate e facili. Quale il nostro posto come singoli cristiani e come gruppo «Pastoral Care» all’interno dell’ospedale? Queste domande risuonavano in continuazione nella giornata di ritiro che abbiamo trascorso nella nostra fraternità. Tempi distesi di riflessione a partire da una meditazione di abouna Marco che ha tentato di approfondire il tema della volontà di Dio («sia fatta la tua volontà…») per potersi soffermare a considerare il sogno di Dio sull’umanità e quindi sull’uomo di oggi.
Muovendoci dall’ascolto della Parola nello Spirito di Gesù sono germogliate molte idee che tenteremo di concretizzare nei prossimi mesi. Avvertiamo tutti la sensazione di povertà che ci accompagna come minoranza nella minoranza, tra le mille difficoltà dell’indifferenza e, a tratti, dell’astio e della contrapposizione, contro questa parte della società che ha avuto un ruolo sempre molto importante nella storia del Medio Oriente.
Come muoversi con coraggio e determinazione nella delicata intersezione di culture che si portano sulle spalle storie di conflitti, insofferenza, emarginazione e, spesso, violenza?
Come mantenere una propria identità reagendo con forza contro chi vuole sradicare la presenza cristiana attraverso una sottile ma evidente cancellazione della storia e della cultura (da parte del mondo ebraico) oppure attraverso un tentativo di colonizzazione religiosa (da parte del mondo islamico)?
Grazie a Dio il mondo della malattia e della sanità rappresenta inevitabilmente anche un’esperienza «obbligata» di convivenza e cooperazione: i malati ricoverati, come i medici e il personale in generale, non hanno il diritto o il privilegio di poter scegliere chi curare o da chi essere curati, per lo meno non ufficialmente. E questo potrebbe essere un punto di partenza importante su cui fare leva per provare a gettare qualche ponte.
Ed è qui, ci sembra, che si possa inserire il lavoro di un gruppo come il «Pastoral Care» che ha proprio l’obiettivo di custodire e annunciare francamente il Vangelo con i suoi valori, non ultimi proprio quelli della tolleranza, della convivenza e dell’amore fraterno.
Ci domandiamo pure se queste riflessioni non possano in qualche modo essere un piccolo contributo allo stesso lavoro, con prospettive certamente diverse, che si è chiamati a fare anche in Occidente.
Ci affidiamo alla preghiera di tutti coloro che amano questa terra e che seguono la nostra comunità. Uno strumento indispensabile di comunione e un punto di forza che può fare la differenza nel tentativo di impostare un lavoro che sia davvero secondo il cuore di Dio.
fratel Marco jc
[alpine-phototile-for-picasa-and-google-plus src=”user_album” uid=”101599211372954497514″ ualb=”6014422944833339217″ imgl=”fancybox” style=”cascade” col=”3″ size=”320″ num=”100″ shadow=”1″ highlight=”1″ curve=”1″ align=”center” max=”100″]
La sofferenza e la malattia…. Una quotidianità talmente evidente è scontata o anche sopportata, forse a volte disperatamente combattuta… Che può diventare ricchezza. Grazie per questa profonda riflessione