Pubblichiamo questa interessantissima lettera di p. René Voillaume, molto illuminante per la vita religiosa in genere e per noi famiglia spirituale di Charles de Foucauld in particolare.
Trovo la fraternità di Benares delle piccole sorelle di Gesù viva e profondamente inserita nel suo quartiere poiché esse si preparano a festeggiare tra poco, nel prossimo febbraio credo, il 20˚ anniversario della sua fondazione. Me ne rallegro con loro! Vi incontro il vescovo, mons. Patrick de Souza, rientrato da Roma e da Delhi, il giorno successivo al mio arrivo. Ho l’occasione di un lungo scambio con lui a proposito del senso della vita religiosa in India. Egli è convinto che qui ogni vita religiosa dovrebbe comportare un aspetto contemplativo autenticamente vissuto e significato. Ed io sono profondamente d’accordo con lui e non solo per l’India. Egli pensa che, secondo la mentalità indù, ogni vita contemplativa dovrebbe esprimersi in un certo servizio degli uomini e che una vita contemplativa senza questa dimensione non sia adatta all’India.
Il vescovo Patrick ama molto le piccole sorelle perché sono contemplative senza clausura e perché sono a servizio dei malati del quartiere, in modo umile e discreto mediante un piccolo dispensario che non ha, d’altronde, niente di ufficiale. Sono contento di constatare che la situazione dei piccoli fratelli [di Gesù] d’Alampoondi corrisponde bene a questo ideale. Avevo sempre pensato che tale fraternità era ben adattata all’India. Padre Ishwar Prasad, che partecipava al nostro colloquio, concepisce il suo Ashram [eremitaggio] come una vita di preghiera, una vita consacrata, ma pienamente aperta ad accogliere ed a condividere. La nozione di Ashram non coincide con la nozione cristiana di monastero. È un’altra cosa.
Mi pare che il contemplativo, che per definizione dev’essere un uomo di Dio, debba esprimere attraverso il suo cuore ed il suo comportamento la tenerezza e la misericordia verso gli uomini del Dio di cui contempla il volto. Questa specie di legame di comunicazione, nell’umile servizio e nella tenerezza, dovrebbe contrassegnare sempre più il contemplativo in mezzo agli uomini. Non ci si può accostare a Dio senza che il nostro cuore arda della sua tenerezza per coloro di cui egli ha voluto fare dei figli, e non è concepibile che questa tenerezza non si esprima in un modo profondamente umano.
Tutto ciò mi fa riflettere e tocca in me qualcosa che sento fortemente da sempre e che è incluso nel mistero stesso di Nazaret: poiché questa realtà è precisamente un mistero. Non si tratta semplicemente della vita di tutti i giorni, cosicché essa sarebbe tanto più perfetta quanto più comune, ordinaria, nascosta, al punto da non esser più una «manifestazione» del Verbo. Come ricordava frère Charles, «Gesù non era un operaio come gli altri» Certo! E poi vi sono le parole di Gesù che ci mettono continuamente di fronte alle responsabilità derivanti da ogni luce ricevuta. Vi è il segreto del Re, vi è la parola detta all’orecchio, e vi è la proclamazione «al di sopra dei tetti» e in pieno giorno; vi è la lampada fatta per rischiarare e vi è Gesù la cui ragion d’essere è di venir accolto, ricevuto, proclamato.
Nazaret non è una realtà facile da vivere, perché non è soltanto il condividere la vita degli uomini e perché il semplice fatto di essere nascosti non ha valore in sé. Nazaret è la discrezione di un segreto d’amore e l’attesa di un evento, di una manifestazione: un Nazaret che non sfociasse, in un modo o in un altro, in una testimonianza insigne, ed anzi a suo modo appariscente del Verbo di Dio, non sarebbe la continuazione in noi di ciò che Gesù ha vissuto tra gli uomini. Vi è stata una sola vera Nazaret al mondo. Non è così facile viverla senza impurità e senza ripiegarci sulle nostre concezioni limitate.
In Nazaret vi è tutta la fermentazione di un lievito impaziente di espandersi e di sollevare la pasta umana; Nazaret deve far maturare tale dedizione a servizio del regno e tale desiderio del battesimo della croce da «renderci pronti a tutto», nel senso più completo della parola, per l’estensione del regno, secondo ciò che Gesù ci manifesterà.
Contemplativi nell’azione, 121-124.