Quando mi è stato proposto, all’ultimo minuto, di accompagnare il nostro fratello Leonardo a Tivoli, nei pressi di Roma, per partecipare alla LIV Assemblea generale del CISM (Conferenza Italiana Superiori Maggiori), non ho fatto proprio dei salti di gioia ben conoscendo una certa «pesantezza» nel dover ascoltare diversi relatori per un’intera settimana. Ma se non avessi accettato l’invito forse non avrei mai potuto ricevere la benedizione di papa Francesco e tanto meno stringergli le mani!
La prima nota interessante dell’incontro riguardava il titolo: «Missione della Chiesa e la Vita consacrata. Una lettura dell’Evangelii Gaudium». Avendo letto attentamente e con grande profitto l’Esortazione apostolica di papa Francesco, avevo il dubbio di sapere come i relatori avrebbero declinato il contenuto del documento nell’ambito della vita consacrata. «Il Papa – ha esordito P. Luigi Gaetani, presidente CISM – riconosce che la vita consacrata ha un ruolo importante nell’attuale travaglio e riforma della Chiesa». I vari relatori – Gian Paolo Salvini, ex Direttore de La Civiltà Cattolica; Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della CEI; Luciano Manicardi, della Comunità di Bose e Mons. José Rodriguez Carvallo, Segretario della Congregazione per i religiosi – hanno animato l’assemblea costituita da circa 150 padri provinciali (o delegati) venuti da tutte le regioni. Dico animato perché non sono mancate le reazioni agli spunti, e talvolta provocazioni, oltre alle domande e contributi.
Una mia prima conclusione è che davvero papa Francesco abbia messo in difficoltà (in crisi, nel significato positivo del termine) tutta la Chiesa, al di là della specifica vocazione o dell’appartenenza ecclesiale. Una specie di «terremoto» è iniziato fin dall’elezione del primo papa latinoamericano e continua a far «tremare» diversi ambiti, compreso quello dei religiosi e le religiose. Forse perché la vera sfida riguarda il passaggio dalla «pia esortazione» alla concretizzazione dell’invito pressante di essere una «Chiesa in uscita», di raggiungere le «periferie dell’esistenza umana» e, soprattutto, il «sogno di una Chiesa povera per i poveri».
I problemi dal punto di vista pratico sono notevoli e la sola buona volontà a «far saltare tutto» non è sufficiente. Ci vorrà sicuramente del tempo perché ogni singola realtà ecclesiale raggiunga l’obiettivo di essere parte di una «Chiesa più credibile». Ma la buona notizia è che qualcosa si muove. «La pastorale in chiave missionaria – dice papa Francesco – esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatore delle proprie comunità» (EG, n. 33).
Oltre alla parte formativa, la settimana (3-7 novembre) è stata caratterizzata dalla gioia di ritrovarsi insieme nella diversità, e quale diversità! Ogni singolo partecipante rappresentava il proprio ordine o la propria congregazione, ognuno portatore di uno stile di vita particolare; un modo, secondo le intuizioni del proprio fondatore, di vivere il vangelo o di esercitare la carità nei confronti dei più deboli. I diversi carismi, come tuttora si usa dire. Durante la settimana, quindi, abbiamo condiviso insieme momenti di preghiera e di celebrazione eucaristica, i pasti e i momenti di pausa per uno scambio fraterno. A metà settimana ci siamo tutti recati in pellegrinaggio al monastero di Subiaco, il luogo sacro che ricorda la memoria gloriosa di San Benedetto, padre del monachesimo occidentale e patrono d’Europa. Siamo stati accolti dall’abate Mauro che ha poi presieduto alla concelebrazione eucaristica e poi una visita guidata per ripercorrendo i vari periodi storici che hanno, puntualmente, lasciato il proprio segno architettonico nel complesso abbaziale. Il semplice pensiero che i monaci benedettini non abbiano abbandonato quel luogo dopo circa 1500 anni è semplicemente commovente e suscita una preghiera di ringraziamento a Dio per tanti piccoli segni, che pur ci sono, ma che non sempre riusciamo a vederli.
Tuttavia, la ciliegina sulla torta è stata senz’ombra di dubbio il pellegrinaggio a San Pietro e l’accoglienza fraterna che ci ha concesso papa Francesco nella Sala Clementina. Non è facile descrivere i sentimenti che si prova negli istanti che precedono l’arrivo del papa in carne e ossa. Quando finalmente la porta si apre, ci si dimentica dei capelli bianchi (quasi tutti i superiori ce li hanno!) e parte l’esultanza come si trattasse di un gruppo di bambini. Sicuramente per la maggior parte di noi era la prima volta che ci capitava di vederlo così vicino. Pensavo che ci avrebbe tirato le orecchie, in vece no. Ci ha ringraziati, esortati, incoraggiati a custodire gelosamente «la linfa della fraternità», perché «è possibile vivere insieme come fratelli nella diversità». Parlando dei nostri compiti ha detto che la vera profezia coincide con la santità. Anche quando ci sono motivi di contrasto tra fratelli, ha aggiunto Francesco, è meglio finire «ai pugni» piuttosto che alimentare «il terrorismo delle chiacchiere». Eravamo convinti che dopo la benedizione ci avrebbe lasciati così, ma di papa Francesco nessuno riuscirà ad anticipare la prossima mossa: ci ha salutati uno per uno, e così ho toccato anch’io papa Francesco!
fratel Oswaldo jc
Ho letto l’ articolo e mi ha commosso ,e’ come se un po’ cercassi di sentire l’ emozione che mi ha percorso tutti alla vista di Papa Francesco ,il seme che lui ha gettato in voi presto darà grande frutto!
arrivederci e grazie per come mi avete trasmesso la vostra felicità’ ; Gabriella
Grazie caro fratello, per condividere la tua esperienza, la benedizione de ragiunto anche noi