Incarnazione 7È sempre commovente arrivare in Terra Santa e visitare i luoghi che conservano la memoria di Gesù, il Salvatore del mondo, quei luoghi benedetti che mantengono vivo il ricordo dell’Evento dell’Incarnazione: Betlemme, Nazaret e Gerusalemme in modo particolare; cadere in ginocchio per toccare con le proprie mani e baciare la terra dove Gesù è nato, dove è cresciuto e ha giocato assieme ad altri bambini prima e dove poi ha annunciato la buona notizia del Regno.

Tra i luoghi più significativi della predicazione di Gesù possiamo ricordare il monte delle Beatitudini e il lago di Tiberiade; Cana di Galilea, dove trasformò l’acqua in vino proclamando la gioia dei credenti per la presenza del vero Sposo dell’umanità; Betania, il villaggio di Lazzaro, Marta e Maria, dove ci insegnò che «l’amicizia con Gesù» è il nuovo modo di comprendere e di vivere la propria conversione; Gerico, la patria del cieco Bartimeo che implorava a squarciagola la misericordia del «Figlio di Davide» e la patria di Zaccheo, il «peccatore pubblico» che Gesù spiazzò al momento di annunciargli che sarebbe andato a casa sua perché aveva visto in lui innanzitutto un «figlio di Abramo» bisognoso di salvezza e non un peccatore da condannare; Samaria dove dialogò a lungo con la Samaritana e profetizzò che i «veri adoratori» non necessariamente dovevano andare al tempio di Gerusalemme per poter adorare l’unico e vero Dio, ecc.

Encarnacion 3Sappiamo molte cose su Gesù, conosciamo i suoi insegnamenti, i suoi miracoli e i suoi gesti di misericordia. I vangeli ci dicono poco sulla sua vita a Nazaret e la Chiesa per lungo tempo ci ha parlato degli «anni silenziosi di Nazaret». Ma oggigiorno – grazie anche alle intuizioni che frère Charles ebbe sulla vita quotidiana di Gesù durante il soggiorno a Nazaret e la frequentazione della grotta dell’Incarnazione – siamo più consapevoli che Gesù (nome comune che significa «Dio salva») era un bambino e un adolescente come gli altri: ha vissuto intensamente le gioie e le angosce, le sofferenze e le speranze della sua gente; è stato obbediente al Padre e ai suoi «genitori» Maria e Giuseppe… Tuttavia facciamo fatica a far emergere il messaggio centrale dell’Evento dell’Incarnazione: se Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, ha vissuto come uno di noi, ciò vuol dire che anche noi siamo capaci di vivere come lui, di gioire e soffrire assieme alla nostra gente, essere obbedienti a Dio e alle leggi umane, imitare la sua vita e, possibilmente, arrivare al punto di avere in noi «gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Impariamo a memoria le parabole evangeliche, ma non siamo pronti o accettiamo con difficoltà che gli insegnamenti che racchiudono abbisognano di essere attualizzati e applicati alla nostra vita, prima ancora che a quella degli altri.

Conoscere il vangelo, allo stesso modo come conosciamo un romanzo o un film, ci fa diventare cristiani di nome, ma non discepoli convertiti. Essere obbedienti senza il coinvolgimento della nostra intelligenza e della nostra libertà da figli di Dio (Gal 5,13-18) ci può trasformare in prigionieri delle nostre convinzioni o delle idee di coloro che, invece, hanno il compito di guidarci e di aprire la nostra mente e il nostro cuore «all’intelligenza delle Scritture». È così facile diventare uomini e donne «radicali», ma intendendo per radicali l’incapacità di ascoltare gli altri; radicali nel senso del clericalismo (presbiteri, religiosi e laici; è una malattia comune), di sentirsi cioè in qualche modo superiori o meglio degli altri; radicali in quanto prepotenti; ecc. Essere dei radicali in questo senso negativo equivale niente meno che al fondamentalismo religioso, una minaccia per i fratelli più deboli e per la stessa società.

Encarnacion 4Per contro: essere discepoli, uomini e donne, RADICALI secondo il radicalismo evangelico, ossia secondo lo spirito autentico del vangelo, significa essere capaci di vivere fino alle ultime conseguenze gli insegnamenti di Gesù: «Non giudicate e non sarete giudicate»; «Amate i vostri nemici»; «Perdonate e sarete perdonati»; «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette»; «Il mio cibo è fare la volontà del Padre mio che è nei cieli»; «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»; «Chi è senza peccato, che lanci la prima pietra»… Ma soprattutto, essere dei radicali significa fare quello che Gesù ha fatto: lui che era il Maestro e il Signore ha lavato i piedi dei suoi discepoli, e «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1), fino a dare la vita per loro; perciò conclude la prima lettera di Giovanni: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (3,16).

Meditare sul mistero dell’Incarnazione – scrivono i gesuiti di La Civiltà Cattolica – non significa solamente «considerare» o «ragionare», ma soprattutto farsi presenti alla scena del mistero, essere testimoni anche grazie all’immaginazione. Se non si vede la scena della Natività, non si vede la luce. E se la luce non si vede, essa diventa un puro contenuto intellettuale, incapace di toccare il cuore, la sensibilità e quindi la vita.

fratel Oswaldo jc

 

Encarnacion 6