Mentre pensavo a qualche spunto d’inizio per l’ultimo post da condividere con i nostri amici in questo 2014, mi sono imbattuto in queste parole di uno di maestri più grandi di tutti i tempi, Confucio: «A quindici anni mi impegnai a imparare, a trenta mi sono retto in piedi. A quarant’anni sono cessati i dubbi. A cinquant’anni ho conosciuto la volontà del Cielo. A sessanta l’orecchio si è fatto obbediente. A settanta, posso seguire i desideri dell’animo, senza infrangere le regole» (Dialoghi II, 4).
Ogni volta che arriva il 31 dicembre siamo tutti un po’ portati istintivamente a fare un bilancio sulle cose belle (e anche su quelle meno belle) che abbiamo vissuto, sugli avvenimenti che ci hanno colpito e sui propositi per l’Anno che stiamo per iniziare. In questo la Liturgia è di grande aiuto perché questa sera ci farà cantare il «Te Deum laudamus» per tutti i benefici ricevuti. Noi cristiani siamo chiamati a rendere lode, come facciamo tutti i giorni, ma oggi in modo del tutto speciale. Si tratta di dare “gloria” a Dio, Trinità Santa. Ma che cosa significa per il cristiano dare “gloria”?
In ebraico “kabod” – scrive mons. Bruno Forte –, corrispondente a “gloria”, deriva da una radice che vuol dire “pesante”, “grave”: la gravità e il peso sono simboli di potenza e di autorità. Dare “gloria” all’Eterno significa allora riconoscere la sua signoria e il suo potere su tutto ciò che esiste, a cominciare dal nostro cuore. Il greco traduce il termine con “doxa”, la cui radice ha il significato di apparire, risplendere, e di conseguenza anche di ciò che soggettivamente appare, l’opinione: applicata a Dio, la parola dice il suo splendore, la luce che da lui si irradia, tanto che dargli gloria viene a indicare il porsi nella sua luce per lasciarsi totalmente illuminare e avvolgere dal suo splendore. Il latino “gloria” deriva, infine, dalla radice indoeuropea “klu” che ha il senso originario di “udire”, “farsi udire”, quindi l’altro di “risuonare”, “essere famoso”. Dare “gloria” a Dio vuol dire riconoscerlo universalmente come l’Unico, cui tutto e tutti nei cieli e sulla terra devono rendere onore.
La varietà dei termini e dei significati ci aiuta a comprendere che dà gloria a Dio chi corrisponde alla sua iniziativa creatrice e salvifica, riconoscendone e celebrandone il potere, la sovranità, lo splendore, l’universale accoglienza; chi, insomma offre al Creatore la risposta che sia la meno inadeguata a Lui. E poiché Dio è amore, corrispondere a lui, glorificarlo, vuol dire amarlo con le labbra e il cuore, con la vita, le parole e le opere. Com’è diversa la sapienza umana del Maestro cinese («A sessant’anni l’orecchio si è fatto obbediente»), fondata sulla ragione e sull’esperienza, dalla Sapienza che scaturisce dall’incontro personale con Gesù!
«Da quando ho saputo che c’era un Dio non ho potuto fare diversamente che vivere per lui solo», è l’affermazione dal profondo del cuore di frère Charles ed è così impegnativa per quanti ci domandiamo circa il nostro rapporto con Gesù.
La prima caratteristica del discepolo è quella di sentirsi amato da Dio, e subito dopo la consapevolezza della propria fragilità e piccolezza. «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti» (Papa Francesco, EG 164). Da qui scaturisce la lode autentica: «Mio Dio, come sei buono, canterò per sempre le tue misericordie»; «Insegnami ad aderire ai tuoi voleri»; queste e altre preghiere simili sono come dei ritornelli frequenti negli scritti spirituali del padre de Foucauld. L’accettazione consapevole del primo annuncio, che invita a lasciarsi amare da Dio e ad amarlo con l’amore che egli ci comunica, provoca nella vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri (EG 78). L’invito a instaurare una relazione di amicizia con Gesù è rivolto ad ogni persona. D’altronde il messaggio fondamentale del mistero dell’Incarnazione è il pronunciamento di quel sì di Dio che in Gesù Cristo ha dato a tutti «la possibilità di diventare figli di Dio». «Io ho una certezza dogmatica – ci riferisce A. Spadaro a proposito del Papa –: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana».
Francesco, ritenuto da molti «il Papa degli incontri», ci riferisce il segreto della sua vita: «La fede, per me, è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie alla quale ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa – mi creda – non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che l’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità» (Lettera a Eugenio Scalfari).
Che il 2015 sia per tutti i nostri amici l’anno di un incontro ancora più intenso con la persona del beneamato fratello e Signore Gesù!
fratel Oswaldo jc