«Sentinella quanto resta della notte?». Queste parole tratte dal profeta Isaia (21,11) sembrano esprimere molto bene il senso di attesa, di speranza che sgorga dal cuore all’inizio di questo Triduo Pasquale.
Il mondo immerso nel buio dell’incertezza e della morte è in ansia per un’attesa di liberazione che l’uomo, in tutta la storia dell’umanità, non ha saputo darsi. Per quanto si sforzi non c’è nessuno che abbia potuto varcare le soglie della morte per trovare un’alternativa, una vittoria, una speranza.
«Se solo qualcuno venisse a raccontarci cosa c’è “di là”!». Questo qualcuno è esistito, ha affrontato la morte, l’ha vinta ed è venuto a raccontarci cosa c’è “di là” e il senso della vita presente. Quest’uomo è Gesù di Nazaret, colui che «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). È l’amore la parola chiave che dà agli ultimi capitoli di Giovanni (e dunque al mistero Pasquale) il senso vero degli avvenimenti narrati. Gesù vive e muore per amore e la sua morte dolorosa e cruenta ne è l’espressione più alta.
Una morte, quella di Gesù, simile alla morte di ogni uomo. Come anche la sua vita è stata simile alla nostra. A morire in croce e a darci la salvezza è lo stesso Gesù di Nazaret che ha vissuto ed è cresciuto in un anonimo villaggio di Galilea: a rivelarcelo sono gli angeli che dopo la risurrezione chiamano il Signore proprio con il nome di «Nazareno»: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto». E nel suo morire Gesù pronuncia quella domanda che ha toccato tutti gli uomini e le donne della storia: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Così la croce, simbolo di morte, è diventato il luogo del senso, dove le oscurità più buie della vita umana, dove il dolore e la morte possono trovare un significato. Non perché Gesù ci dà risposte teoriche, ma perché Egli ha attraversato la stessa esperienza e l’ha risanata, vincendo ogni limite, ogni paura, fino a sconfiggere il nemico più temibile dell’uomo: la morte.
Gesù apparentemente è passato dalla vita alla morte, ma nella verità più profonda, ma anche più concreta e reale, è passato dalla morte alla vita e ha fatto sì che ogni uomo, in lui, possa fare la stessa «pasqua», lo stesso «passaggio».
Dalla morte alla vita è la prospettiva in cui siamo collocati e che ogni anno riscopriamo nel Triduo Pasquale. O, come dice lo stesso Giovanni, «da questo mondo al Padre». Questa espressione misteriosa e affascinante è un altro modo di esprimere il passaggio fondamentale morte-vita. In fondo tutta l’esperienza umana e cristiana si riassume qui: un lento “risveglio” che ci restituisce la possibilità di chiamare Dio con il nome di Padre, assimilati a Gesù, l’unigenito Figlio di Dio, per opera dello Spirito Santo.
«Quanto resta della notte» dunque? Resta il tempo di quel silenzio assordante del sabato santo, dove tutto sembra finito e dove la speranza sembra esaurita. Ma quel silenzio dura qualche ora per poi lasciare lo spazio alla Vita ed alla Risurrezione che rimarranno per sempre, nei secoli dei secoli, il nostro orizzonte e la risposta di ogni nostra attesa.
fratel Marco jc
“…ma quel silenzio dura qualche ora per poi lasciare lo spazio alla Vita ed alla Risurrezione che rimarranno per sempre, nei secoli dei secoli, il nostro orizzonte e la risposta di ogni nostra attesa”.
E’ con questo spirito che vorrei prepararmi a vivere questo triduo pasquale!
Grazie, Marco