È uscito il nuovo numero della rivista di spiritualità «Jesus Caritas», 142/aprile 2016. In questo anno centenario della morte di Charles de Foucauld stiamo presentando, oltre agli articoli e scritti vari, anche delle testimonianze di vita illuminata dalle intuizioni di frère Charles. Offriamo ai nostri amici un piccolo «assaggio» riportando parte del contributo di un nostro amico della diocesi di Roma.
Lo stile e la testimonianza di Charles de Foucauld ha ancora molto da dire alla nostra vita ecclesiale. In una società come quella italiana immersa in un vissuto epocale come quello che stiamo vivendo e attraversando, non possiamo fare a meno della sua testimonianza che ricorda per molti versi lo stile di papa Francesco.
Attualmente, svolgo il mio servizio pastorale nell’ambito del disagio giovanile, occupandomi di tutta quella realtà (pre) adolescenziale e giovanile-adulta che non entra nei nostri circuiti ecclesiali, lontana dalle parrocchie, a rischio di devianza sociale, con variegate problematiche e, spesso, al centro di tristi cronache cittadine. Giovani in difficoltà che tali non si sentono ma che «si sfasciano» quotidianamente. Non si sentono affatto in emergenza, ma lo sono permanentemente. Tutte quelle «periferie esistenziali» – come dice Papa Francesco – che affollano e affogano quotidianamente la città di Roma. È chiaro a tutti, evidente per alcuni, e cristallino a pochi che le missioni estemporanee, o altre cose più o meno parrocchiose, più o meno movimentose, più o meno spiritualoidi non riescono a fare breccia, non permettono di stabilirci all’interno di questi mondi giovanili che hanno sviluppato degli anticorpi alle nostre consuete operatività pastorali. Tutt’al più riusciamo un pochino – ma con sempre minore successo, del resto facilmente verificabile! – a farci vedere, ma qui non si tratta più di farsi vedere… la nostra più che secolare tentazione di visibilità! – qui si tratta di prendere su, prendersi in carico ferite di umanità che necessitano di tempi più lunghi di una missione, di un accompagnamento più prolungato rispetto a un set di momenti di preghiera, di una presenza di servizio più discreta (e quindi meno visibile) di una pur giusta e legittima confessione o adorazione; in una parola: abbiamo bisogno di piantare una tenda in queste periferie; ancor prima di parlare di Fede, dobbiamo evangelicamente (perché squisitamente evangelico come insegna Mc 4) imparare a stare per strada e conoscere gli «uccelli» che divorano il nostro servizio, dissodare il campo dalle spine, pulirlo dalle pietre ed altro per poi seminarlo.
Charles de Foucauld ha fatto questo, o almeno personalmente io mi ci rivedo molto. Peraltro, vorrei dettagliare di più e meglio questo concetto. Foucauld ci insegna a:
- Passare da una logica di singoli eventi pastorali a progetti pilota capaci di creare ospedali da campo, da provare e verificare;
- A farla finita e a «migrare» dalla visibilità che si può avere con certe iniziative, alla presa in carico del disagio riscontrato;
- Uscire dalla dipendenza di istantanee attività carismatico-mediatiche alla missione paradigmatica, di cui ha parlato papa Francesco alla Conferenza Episcopale Latino Americana, alla GMG in Brasile, e che implica il porre in chiave missionaria le attività abituali;
- Disintossicarsi da stravaganze pastorali (anche economicamente onerose) a «obiettivi concreti e ricercare i mezzi specifici per raggiungerli» (incontro di Papa Francesco con la classe dirigente del Brasile. Sabato, 27 luglio 2013);
- Fare sul serio e transitare da osservazioni puntuali e seminari aggiornati ad una presenza fissa e stabile negli ambienti (a nulla serve una tempestiva riflessione, se non si trasforma in una pertinente azione pastorale).
- De Foucauld ci aiuta (ed insegna) a evitare la tentazione di una diffusa interpretazione dell’evangelizzazione, percorsa da una sindrome che sa di fondamentalismo. Poiché oggi, le chiese sono vuote, le nostre tradizionali operatività risultano essere desuete (se non addirittura ridicole), si cerca una scorciatoia in una sorta di offerta della nuda parola e dell’evangelo puro. De Foucauld prende invece risolutamente la strada dell’incarnazione e alla sua scuola impariamo a praticare una pastorale con attenzione all’umano comune, al sentire di tutti i giorni. A mio modesto avviso, è soprattutto per non aver imparato la sua lezione che noi oggi abbiamo una trasmissione della fede povera di linguaggi e di forme pratiche. Quanta ricchezza di relazioni umane, quanta insondabile fecondità di azione pastorale, quanta immane intelligenza di Fede ha invece prodotto lo stile di Charles de Foucauld in tal senso! La sua «lectio magistralis» sul campo, rimane ancora di una freschezza e vivacità di cui noi non possiamo assolutamente fare a meno. […]
Spesso mi chiedo cosa avrebbe fatto Charles de Foucauld con questi ragazzi. Ebbene: sarebbe stato là, semplicemente con loro a vivere la loro vita. A posto così, io mi sento a posto così e tanti miracoli poi il Signore non smette di donare per rinforzare la nostra fede che assai spesso non «sa» neanche di un granello di senape. Eh, sì!, non si tratta di offrire iniziative o attrezzare luoghi per far entrare nelle loro teste la nostra teologia, spiritualità, o per farli accedere nei nostri gruppi o filiere, incontri catechetici del terzo tipo o altro. ‘Sti ragazzi non chiedono niente: stanno lì, se spaccano, tu devi andare da loro e basta! Da qui se parte! Se capiamo questo, stiamo a cavallo, sennò restiamo a piedi! Non trovo migliore conferma della sua testimonianza in quanto ci dice il papa emerito – Benedetto XVI – nella sua prima enciclica Deus Caritas Est: «Chi esercita la Carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di lui e lasciar parlare solamente l’amore. Egli sa che Dio è amore» (n. 31). Non ha forse fatto così Charles de Foucauld?
E non illudiamoci che l’imparare o meno la lezione di fede di Charles de Foucauld non abbia un preoccupante risvolto per il rinnovamento della nostra ordinaria vita ecclesiale e di parrocchia: se un cristiano già iniziato al Mistero di Cristo non sa essere Sua presenza e fare chiesa laddove i poveri giacciono, quale matura iniziazione cristiana vive in lui? Di quale malattia spirituale soffre una chiesa che vive ogni domenica nella comunione al pane e al calice il culmine della sua iniziazione e che poi è incapace di essere pane spezzato? Che ne è della nostra eucarestia dopo la celebrazione? Parafrasando: fammi vedere come vivi nel mondo la tua iniziazione al Mistero e ti dirò che cristiano sei.
Ecco perché la testimonianza dell’umile frère Charles è tutt’altro che superata!
Giovanni Carpentieri
Si i giovani oggi preoccupano.
Vedere ragazzi e ragazze coltivare valori effimeri e caduchi dispiace e preoccupa. Non pochi poi scendono una china che si nutre di inerzia e debolezza, fino a arrivare in un abisso di vuoto e disperazione.
Chi di noi non sente il bisogno di prenderli per mano e ricondurli in alto verso la luce?
Ma… quanti siamo noi… adulti più robusti che tendiamo il braccio per afferrarli.
Contiamoci noi adulti e organizziamoci istruendoci a vicenda per essere compatti e forti per riuscire a trainare i nostri giovani che scrutano l’orizzonte nell’attesa di una mano amica.
Cominciamo dai più grandi per arrivare ai più piccoli!
Il principio è ottimo metterlo in pratica
Credo dovrei imparare tanto