«E il re mandò i servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire» (Mt 22,1-4). E in fondo, a ben pensarci, gli invitati che rifiutano non sono poi tanto peccatori come possono apparire dalla pagina del Vangelo: sono persone normali, che fanno delle cose giuste in sé.
In loro – ed ecco la riflessione per noi! – c’è un solo gran peccato ed è quello di una incredibile superficialità, di una mancanza di ragionamento profondo, di una certa stoltezza, mancano – per dirla con san Tommaso – «della ragione superiore che è il cuore della vita spirituale».
In altre parole non pongono attenzione a Colui che invita. Sono nella regione inferiore, sono terra terra. La ragione superiore, quella a cui il Creatore ha dato la funzione di contemplare, che la tiene in contatto con il Vero, è sparita.
C’è all’origine del rifiuto un difetto di giudizio, un peccato di superficialità nel valutare le chiamate e le cose.
Basterebbe questo per un profondo esame di coscienza che prenda visione di questa terribile realtà: come è possibile a te e a me, a ciascuno di noi, di scoprire la realtà profonda della grande verità, di non riuscire ad una attenta contemplazione delle cose, ad essere seri nella scelta pratica di quanto necessita per il governo della nostra vita.
E allora, quali conclusioni pratiche?
Da quanto detto e da quanto ci sarebbe ancora da dire, scaturisce, almeno per me, questa realtà: non sono e non siamo abituati a prendere alla lettera il Vangelo. Pensiamo, ad esempio, a quanto dice Gesù: «Nell’ultimo dei tuoi fratelli sono io che soffro». Si tratta di avere gli occhi spalancati per vedere chi è Gesù, per poterlo riconoscere oggi in uno che «è annoverato tra i malfattori», in uno che viene ucciso da chi crede che in tal modo di rendere gloria a Dio.
Non siamo liberi, ci manca la «ragione superiore», la possibilità di contemplazione e perciò non siamo liberi. Siamo dei prigionieri. Siamo dei borghesi: della gente che sta bene in Egitto, in schiavitù, piuttosto che seguire Dio che può condurci o a un suo banchetto o a un lungo esodo nel deserto. Non amiamo il rischio, l’imprevisto del domani. Anche se Dio ci promette la manna, la carne, l’acqua, noi preferiamo le cipolle della nostra schiavitù, purché siano una cosa sicura, che dipenda da noi e non da Lui. Diciamo continuamente a Dio: «Lasciaci in pace! Perché ci inviti! Abbiamo anche noi i nostri affari».
«Ma io vi libero!» – «Lasciaci in pace!» – «Vi libero dalle leggi che vi opprimono» – «Lasciaci nelle nostre leggi» – «Ma sono ingiuste. Io vi do una legge d’amore» – «L’amore è troppo difficile».
L’amore infatti chiede troppo. Siamo stati abituati sin da bambini a dire le preghiere mattina e sera, ad andare a messa la domenica, a confessarci ogni tanto. Dopo si era a posto. E noi eravamo tranquilli. Ma ora non è più così: ora non è più chiaro se le cose da fare siano una o quattro o cinquanta.
Il Vangelo dice: «Prega!» – «Quanto?» – «Prega!» E ricordati che alla sera ripensando alla tua giornata e dicendo: «Ho fatto tutto quello che dovevo fare», devi anche dire: «Ma non ho fatto ancora niente».
È come nell’amore: dopo che uno è stato un’intera giornata insieme alla ragazza che ama, capisce solo che deve continuare a stare insieme con lei. La misura non è dell’amore. L’amore comincia dove finisce l’obbligo, dove finisce la legge. Volete conoscere quanto amore siete capaci di dare a Dio? Misurate quanto tempo gli dedicate al di fuori di quello che siete obbligati.
Lo stesso vale nell’amore verso i fratelli. «Che cosa dobbiamo fare?» – «Fa!» – «Dobbiamo dare loro duecento, trecento euro al mese?». – «Fa come vuoi. Ma se dare anche solo cinque euro provoca dentro di te disgusto, tienitele, non sappiamo che farcene».
Nel Vangelo non esiste niente che io sia obbligato a fare. È sempre un invito.
«Ma allora posso anche non andare a messa?» – «Certo che puoi: sei libero». – È l’amore. Finché non abbiamo raggiunto questo fatto d’amore, non abbiamo la possibilità di capire le proposte che il Signore ci fa e nemmeno la sua vita.
Ci aiuti il Signore ad accettare, caso mai, la siepe, la strada, sapendo che non tarderanno a passare i servitori con un secondo invito. Ci aiuti il Signore a non temere se il secondo invito ci butterà a convito con i poveri e fra i poveri: è il nostro posto. Non si è perduto nulla finché non si è perduto l’amore.
fratel Gian Carlo jc
Proprio ieri camminando per le strade di una nota e frequentata città romagnola assistevo alla solita scena di tutti i giorni: il giovane extracomunitario che all’angolo della strada domanda qualche spicciolo.
Lui esordisce con un “ciao amico-a” ma quasi sempre il passante uomo o donna giovane o anziano neanche lo guarda e tantomeno risponde al saluto.
Sì certo non si può’ sempre elargire qualcuno dirà, (ma cosa sono in fondo pochi spiccioli) ma almeno guardiamo questo nostro prossimo e rispondiamo al suo saluto magari con un sorriso e perché no mostrando un interesse per questo nostro fratello scambiando qualche parola.
In altre parole diamo un po’ d’amore e ci sentiremo anche noi gratificati perché se daremo ci verrà dato. Il Signore così è’ con noi e quando tendiamo la mano ci ricambia con il Suo amore.
Grazie per questa pagina che intriga parecchio le nostre sicurezze e non sempre riusciamo a scalfirle per farci ” sedurre” da un secondo invito.