Arcivescovo, Prelato Pontificio, Cardinale, ma per noi sempre Don Loris.
Affezionatissimo padre, fratello e amico come usava abitualmente firmare quando ci scriveva.
Tutto iniziò un pomeriggio del 1958 al Passo della Mendola in Trentino. Ero arrivato con alcuni amici dell’Ufficio Aspiranti ACI di Roma e trovammo don Loris con il suo anziano Patriarca di Venezia. Non ci volle molto che con la sua affabile curiosità, venisse a conoscenza dei nostri nomi; da dove venivamo, cosa facevamo e perché eravamo lassù. La grande facilità di don Loris ad avvicinare le persone, piccole o grandi, semplici o poste in autorità è stato uno dei suoi carismi. Un mese dopo mi arrivò inaspettata a casa una sua telefonata: «Lo sai che sono a Roma? E non ti sei ancora fatto sentire?». Certo lo sapevo, come tutto il mondo, perché il suo Patriarca intanto era divenuto PAPA GIOVANNI XXIII. Risposi a don Loris che non mi sembrava una cosa di tutti i giorni andare in Vaticano ed annunciarsi al segretario del Papa! Poche sere dopo un’altra sua telefonata, che mi indicava, giorno e ora, da quale cancello entrare, a chi chiedere e come recarmi da lui. In fondo al cortile della Pigna c’era un ascensore riservato dove avrei trovato una persona che mi avrebbe portato al piano…E così quel giorno, una sera fredda d’inverno, mi trovai nello studio di don Loris con gioia reciproca. Non avevamo finito i convenevoli dell’incontro che in quella camera arrivò inaspettato il Santo Padre che venendomi incontro e dandomi la mano, mi disse: «Voi siete l’amico che don Loris attendeva?». Ricordo quegli istanti come una delle impressioni più forti che abbia mai avuto. Mentre godevo di trovarmi in quel luogo con don Loris e addirittura il Papa, avevo un grande desiderio di riprendere l’ascensore e ritrovarmi quanto prima nella confusione del traffico romano.
Da allora non mancarono altri contatti frequenti ma molto stringati perché giorno per giorno aumentavano gli impegni del Segretario papale. Ma non ci fu occasione liturgica o ricorrenza personale senza una telefonata o uno scritto di don Loris. Ancora qualche mese fa ricordavo a don Loris un incontro dell’Ufficio Aspiranti di Roma con papa Giovanni a Castelgandolfo e citavo alcuni pensieri dell’omelia del Papa. Ma lui subito mi corresse dicendomi che non ricordavo bene, a lui non risultava quanto stavo dicendo. All’indomani mattina, alle ore 7.30 («Ma dormite ancora?»), mi disse che avevo ragione perché era andato a controllare tra le sue carte del tempo. Quella mattina a Castello il Papa aveva una velatura di tristezza nel suo parlare e poi don Loris ce ne disse il motivo. I giornali pubblicando la morte di un noto cardinale, sottolineavano che aveva lasciato degli immobili e molti molti milioni all’unico nipote. E il Papa aveva soggiunto: «E sì che dal seminario minore è sempre stato mantenuto dalla Chiesa».
Nel tempo è sempre cresciuta e si è approfondita l’amicizia con don Loris padre, fratello e amico. Nell’ultima telefonata, naturalmente breve, i primi giorni che era in clinica a Bergamo finì con «vi voglio bene, vi voglio bene, vi voglio bene».
Il rapporto con don Loris ebbe una flessione nel periodo del suo episcopato in Abruzzo. E lo si può ben capire per i nuovi impegni pastorali che assunse. Ma poi, andando a Loreto, tutto riprese come sempre, anzi la vicinanza con l’Umbria facilitò il vedersi. Maturata la mia vocazione religiosa egli la sostenne in tanti modi. Quante volte invitava me e i fratelli alla stazione di Foligno quando andava a Roma col treno, per vederlo e salutarlo. A volte anche si fermava e riprendeva il treno successivo. Capitò una domenica pomeriggio che andammo tutti a Roma e saliti in treno lo trovammo in uno scompartimento dove stava lavorando, e trovandosi solo aveva riempito i sedili con tutti i suoi fascicoli e libri. All’inizio si trovò un po’ a disagio perché avevamo disturbato, ma arrivammo a Roma cantando il vespro, trasformando così lo scompartimento in una cappella itinerante. Don Loris era felice. Un’altra volta in viaggio, in auto, da Bologna a Spello si mise nel sedile posteriore e tirò fuori un piccolo leggio con una lampada a pila per poter continuare a scrivere e a leggere durante il viaggio! Cercava sempre di non perdere il suo tempo.
I ricordi si accavallano, ma in questi giorni seguendo il suo sofferente cammino verso la casa del Padre, abbiamo preso in mano il faldone dove sono conservati alcuni suoi scritti indirizzatici nel tempo, purtroppo non tutti. Abbiamo trovato così anche i testi di quelle che noi chiamavamo le sue «mega omelie» durante celebrazioni a Spello e a Foligno. Anche 15 cartelle dattiloscritte battute a carattere molto piccolo e con aggiunte o correzioni fatte a mano. Il 12 giugno 1999, scrive:
«Caro Gian Carlo, sono riconoscente a te e alla famiglia: “Jesus Caritas”che mi ha accordato stima, fiducia, incoraggiamento, affetto. Sono doni preziosi del “campo dei poveri che produce molti frutti” (Pr 13,23).
La vostra piccola comunità è stata voluta da Dio non per imporsi all’attenzione, non per provocare applausi, non per progettare opere appariscenti.
Lo spirito del monachesimo d’Oriente e d’Occidente, aggiornato dalle intuizioni di Charles de Foucauld, incarnate dal nostro fratel Carlo Carretto, la comunità di Foligno-Spello è e vuol restare piccola e povera, disponibile a tutto (anche ad essere schiacciata) desiderosa solo di servire e di dare, abilitata a testimoniare il vangelo nelle sue esigenze più aspre: misericordia e perdono».
La lettera continua con citazioni di Carlo Bo e di papa Giovanni. Ricorda l’ordinazione di fratel Paolo, fatta da lui al Goleto. Fu in quell’occasione che ci regalò un calice usato da papa Roncalli che ora i nostri fratelli di Nazaret usano e custodiscono con venerazione. Per finire: «Il canto di lode a Cristo Gesù, di gratitudine alla madre sua e nostra, di rinnovato impegno a guardare sempre alto e lontano».
Il nostro faldone conserva anche delle lettere che don Loris riteneva più ufficiali. Queste terminavano sempre con la sua firma, il titolo di Arcivescovo di Mesembria e il rosso sigillo episcopale. L’ultima di queste lettere «ufficiali» mi fu indirizzata in occasione del mio 40° anniversario di ordinazione presbiterale perché avevo ricevuto, quanto mai inatteso, un messaggio di Benedetto XVI, a firma del Segretario di Stato di sua Santità che mi porgeva felicitazioni, auguri e benedizione. «Molto più di un gesto caritatevole – commenta don Loris – esso è il placet della suprema autorità ai piccoli fratelli di Jesus Caritas, riconosce nell’opera la mano di Dio, onore al sacerdozio, venera il beato Charles de Foucauld, apprezza la lungimiranza del vescovo Siro Silvestri e la generosa accoglienza della Chiesa che è in Foligno.
Il Documento – il più solenne sinora a voi giunto – entra nell’archivio dei piccoli fratelli e nel cuore di ciascuno come arcano dono e paterno incoraggiamento.
Gian Carlo, facciamo festa insieme, mentre scorrono dinanzi ai nostri occhi le provvidenziali sequenze di quarant’anni, dalla graziosa e povera residenza di Limiti di Spello sino all’approdo a Sassovivo, illuminate da una massima dell’asceta e maestro Claudio Claudiano (+ 474) della Chiesa di Vienne (Delfinato), massima trascritta dal card. Roncalli nella sua agenda del 1957: “Peragit tranquilla potestas quod violentia nequit mandataque fortius urget imperiosa quies”, non vi è più forte ed efficace mezzo per farsi obbedire, come il comandare con amore e piacevolezza”.
Si staglia a te, amico carissimo, discepolo di Charles de Foucauld, impregnato del Pax et Bonum del Poverello d’Assisi e di molti ecclesiastici e laici che ti hanno insegnato con l’esempio ad imitare la sapienza degli antichi abati benedettini, il cui pallio copre le tue spalle: pietas e semplicità, ardore apostolico e “speranza che non delude” (Rm 5,5)».
Ci sarebbe da ricordare il grande rapporto che don Loris ebbe anche con fratel Carlo Carretto. Fu lui a celebrare nel chiostro di San Girolamo la prima eucaristia dopo poche ore dal transito di fr. Carlo. In questi giorni mentre don Loris si preparava a raggiungere il paradiso, con i suoi scritti e le sue lettere, abbiamo ripreso in mano anche un altro suo prezioso dono: la copia di Au Coeur des Masses di René Voillaume presentata a Pio XII assieme alla raccolta delle copertine per lo stesso libro tradotto in più lingue e un’edizione in pelle e seta bianca come si usava (si usa ancora?) presentare i libri al Papa. Donandoci questo volume don Loris scrisse in prima pagina:
«Dal tavolo di Pio XII
alle mani di Giovanni XXIII che me ne fece dono a Natale del 1958.
Trasmetto ai miei fratelli e sorelle di Jesus Caritas di Sassovivo.
+ Loris Francesco Capovilla
Natale 1993
fratel Gian Carlo jc