Scopro Eric-Emmanuel Schmitt leggendo il suo Oscar e la dama in rosa, un piccolo gioiello letterario. È la storia di un bambino, malato di cancro. Nessuno ha il coraggio di dirgli che gli restano pochi giorni di vita, soltanto Rosa, una donna comune, ma con un cuore bello guadagna la fiducia del piccolo e lo convince a scrivere la sua prima letterina a Dio per raccontargli tutto…. L’autore riesce a descrivere in modo sorprendente i sentimenti intimi della persona in tali condizioni: silenzio interiore, solitudine, incertezza. Soprattutto «la luce» che spunta nel buio dell’anima.

Tempo dopo leggo anche Il vangelo secondo Pilato e afferro questa frase dalla moglie del prefetto di Galilea: «Dubitare e credere sono la stessa cosa, Pilato. Solo l’indifferenza è atea». Entrambi i libri hanno in comune l’atteggiamento (sereno) dell’uomo dinanzi alla morte. «Caro Dio – dice il piccolo Oscar – grazie di essere venuto… Ho capito che eri qui e mi rivelavi il tuo segreto: ogni giorno guarda il mondo come se fosse la prima volta». Mi domandavo da dove potesse venire tanta ispirazione a uno scrittore che si riteneva ateo.

Eric copertinaÈ stata una sorpresa poi, quando l’anno scorso ho letto un’intervista rilasciata da Schmitt: «Io convertito come Charles de Foucauld» (Avvenire, 6 ottobre 2015). Filosofo, drammaturgo, romanziere, nell’intervista parlava di sé, della sua esperienza di una «presenza» indefinibile, proprio andando per motivi professionali alla ricerca del missionario nel Sahara… Eccomi, quindi, a tratteggiare il contenuto di La notte di fuoco (Edizioni E/O) di cui lo stesso Schmitt afferma: «Sono nato due volte: la prima a Lione, nel 1960, e la seconda nel Sahara, nel 1989». E poi: «Una notte sulla terra mi ha fornito gioia per l’intera esistenza. Una notte sulla terra mi ha fatto intuire l’eternità». «Da qualche mese Charles de Foucauld era entrato nella mia vita sotto forma di un film da scrivere, e qualche settimana prima era stato il motivo della nostra spedizione. Fin dal primo giorno in Algeria aveva rappresentato l’alfa e l’omega dei nostri spostamenti, visto che eravamo partiti dal suo bordj di Tamanrasset per raggiunger il suo eremo dell’Assekrem. Ed ecco che il mio destino e il suo si intrecciavano in maniera intima».

Siamo di fronte all’itinerario spirituale di un intellettuale che non teme di condividere l’esperienza-incontro che lo ha portato dalla razionalità alla «sconfitta», come amorevole abbandono nelle mani di Dio. Nei primi capitoli si sofferma sulle peripezie del viaggio nel deserto con un gruppetto di europei, interessati all’astronomia, alla geologia e altre scienze. Volevano confermare le loro conoscenze oppure correggere le loro teorie. Tra questi Eric-Emmanuel incontra Ségolène, l’unica donna, che si professa credente. Con lei il filosofo scambia qua e là qualche frase sul «mistero», ma la sua posizione è netta: «Dio è presente in me soltanto in forma di interrogativo».

Eric 3In un’occasione Abayghur, giovane tuareg che li guidava nella spedizione, si era isolato con discrezione. «Sotto il sole nascente, inginocchiato sullo stretto tappeto, sembrava minuscolo e colossale insieme. Prosternandosi riconosceva umilmente l’imperfezione della propria natura, ma allo stesso tempo intimava a Dio di dedicargli attenzione»… Sono delle «scene» – Schmitt è esperto di teatro – che colpiscono fortemente la sua razionalità, lo stesso era accaduto a Charles de Foucauld e ad altri non credenti – e suscitano in lui una sete di conversare. «In Europa, dice sempre a Ségolène, gli intellettuali tollerano la fede, ma la disprezzano. La religione è considerata un ritorno al passato. Credere significa rimanere arcaici, negare è diventare moderni»… Ma verso la fine riconoscerà che «il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano… Senonché spontaneamente la ragione non ha la minima umiltà, bisogna scuoterla».

In marcia verso l’eremo di Charles de Foucauld sull’Assekrem, Schmitt e altri due decidono di scalare il monte Tahat. Una volta in cima il Nostro si sente travolto da una «gioia abissale». Guarda l’infinito davanti, dietro, di fianco: «Non pensavo niente. Ero muto, ridotto a occhi che contemplavano. Nessuna riflessione interessante o intelligente mi attraversava la mente, godevo di vedere, annusare, esalare». Avvolto da un’energia inconsueta scende dalla vetta a passo veloce, precede gli altri convinto di riconoscere la strada, ma si perde, con la notte che a sarebbe scesa e sprovvisto del necessario per affrontare ogni pericolo… Quella diventa la «notte di fuoco». Non riuscirà mai a descrivere con parole quanto gli era accaduto. Sa solo di essere stato schiacciato da una «Luce crescente. Insostenibile».

Lettura vangelo 3Il cuore batte forte. Non sa se tutto viene dall’esterno o dall’interno: «La forza aumenta. Mi lascio catturare. Mi penetra il corpo e la mente. Ne sono irradiato! Sposo la luce». «Abbandono tutto, il deserto, il mondo, il corpo, me stesso. Presto sarò un tutt’uno con la forza. Mi assorbo in quest’energia incrollabile e indomabile all’opera dell’universo». L’eternità è durata una notte. Lentamente l’intelligenza e la memoria tornano… Schmitt non saprà rispondere razionalmente a quanto successo: «Chi è il mio rapitore? Chi mi ha strappato ai burroni per inondarmi di gioia? Non so dargli un nome. Lui non si è mai dato un nome. Esiste». Di fronte al tremendum testimoniato da coloro che ne hanno fatto esperienza, paura e pensiero della morte arrivano puntualmente. Anch’egli si è chiesto: morirò presto?

Ecco la risposta della notte di fuoco e il segreto dei suoi libri: «La morte non avrebbe portato una fine, ma un cambiamento di forma. Mi sarei sottratto a questa terra per guadagnare una patria, l’unità primigenia sconosciuta. In tutta serenità avrei affrontato il mistero della morte come il mistero della vita: con fiducia!». E spiega altri motivi importanti dello svelamento del suo segreto: «Nel nostro secolo, in cui come un tempo si uccide in nome di Dio, è importante non confondere credenti e impostori: gli amici di Dio sono quelli che lo cercano, non quelli che parlano al Suo posto e pretendono di averLo trovato»… «Quante volte avrei voluto trasmettere la fiducia che arde in me! Quanto spesso avrei desiderato, in presenza di amici disorientati o sconosciuti disperati, mostrarmi persuasivo!».

Il salto della fede è fatto! Gioia e meraviglia subentrano ai dubbi. «Un giorno di ottobre – riconosce Schmitt – il visconte Charles de Foucauld aveva avuto una rivelazione mistica nella chiesa di Saint-Augustin a Parigi. Facendogli eco, anch’io avevo vissuto la stessa cosa ai piedi dello Hoggar. Aveva ventotto anni. Come me. Dopo quell’illuminazione, Charles si era convertito. Era stato lui, cento anni più tardi, a farmi venire nel deserto e confrontarmi con Dio? Aveva interceduto per me?».

Come ogni testimone dell’Infinito, Eric-Emmanuel afferma che l’incontro è solo un punto di partenza, addirittura le ultime due parole del libro sono «Tutto comincia»!

«Il nostro Dio è un fuoco divoratore» (Eb 12,29) che trasforma la persona nella sua totalità: «Inesauribile, quella notte di fuoco continua a modellarmi il corpo, l’anima e la vita, come un alchimista sovrano che non abbandonerà mai la sua opera»

Nel centenario della morte di frère Charles la testimonianza di Schmitt ci può essere di aiuto per continuare a ravvivare il «fuoco sulla terra» che Gesù ha portato.

fratel Oswaldo jc

Splendidi cardi