Il testo di fratel Marco Cosini La vita che c’è (Edizioni Terra Santa, p 152, € 14:00) è un invito a prendere coscienza di sé, a prendersi la vita, ad uscire da una sorta di sopravvivenza esistenziale, per intraprendere un itinerario che porta alla pienezza, alla conoscenza di sé attraverso l’altro. Possiamo notare un itinerario che è innanzitutto esistenziale ed antropologico. L’autore si pone la domanda dell’esistere, dell’esserci. Una domanda apparentemente semplice, ma proprio per questo misteriosa. Tale mistero chiede un cammino non solo interiore, ma spirituale.

Fratel Marco ci invita a camminare liberandoci da una sorta di «vagabondaggio esistenziale», quello del sopravvivere o del tirare avanti. Egli ci invita a fare un cammino proponendoci delle tappe. È dal vagabondaggio che si passa al pellegrinare. Il pellegrino e il vagabondo camminano entrambi, possono anche condividere lo stesso itinerario, ma il significato è profondamente diverso: il pellegrino ha una meta. marco-e-bambinoÈ così che l’interrogativo esistenziale sul ciò che si è, approfondito, porta ad interrogarsi sul mistero dell’uomo. L’autore ci offre delle indicazioni per non smarrirci; innanzitutto il silenzio fecondo, che non è solo silenzio di parole o rumori, ma ascolto intimo e prezioso. Tale silenzio aiuta a rientrare in sé stessi, per poter ascoltare l’altro e per sperimentare la presenza di Dio. Tale silenzio non è vuoto, ma assenza di parole, che sapientemente si apre all’ascolto più profondo, quello della Parola.

La dimensione esistenziale ed interiore passa dunque, attraverso l’approfondimento antropologico alla teologia, la sola in grado di rivelare autenticamente il significato umano. L’uomo che esistenzialmente si fermerebbe alla solitudine ed all’incapacità di senso, trova una via nuova aprendosi al «tu» di Dio. È un invito a leggere la verità dell’uomo attraverso le altezze antropologiche, una verità dell’uomo che è rivelata ed in quanto tale ci parla di Dio. L’umanità illuminata dalla teologia torna a riprendere se stessa, con uno sguardo nuovo, con una luce preziosa: la rivelazione. Il mistero del dolore, la quotidianità, la povertà che appartengono all’umanità riceve una luce nuova. L’umano e il divino si ritrovano armoniosamente, come i bracci della croce, nell’intima esperienza del cuore, luogo di relazione. L’uomo trova dunque una luce nuova, non fuori di sé ma dentro, nella sua stessa interiorità. È dal cuore che l’autore trae una prima sintesi: il dono della pace e l’autentica conoscenza di sé. Tutto il testo è accompagnato ed illuminato dalla Parola e dalla spirituale esperienza di Gesù amico e beneamato fratello. marco-suonaFratel Marco ci spinge dunque a non restare su queste premesse, ma ad uscire per comprendere il mondo, gli altri, la Chiesa e noi stessi sempre meglio. In maniera semplice, utile e funzionale approfondisce la Parola invitandoci a scoprire ciò che noi, gli altri e Dio sono attraverso la categoria delle relazioni, avendo come riferimento la «vita di Nazaret». Tale percorso richiede coraggio perché invita a chiamare per nome le zone d’ombra di sofferenza, facendo sì che ogni ferita, posta dinanzi al Signore, diventi feritoia per l’incontro con l’Assoluto.

È così che l’autore rilegge la dimensione antropologica, ecclesiologica fino a giungere a quella escatologica avendo come riferimento il mistero dell’Incarnazione. Come piccolo fratello di Charles de Foucauld approfondisce il suo carisma mostrandone la verità universale, aprendo gli occhi ad una sensibilità che passa dalla ferialità, oserei dire banalità di ogni esistenza, al mistero dell’Incarnazione; dall’Annunciazione che passa dalla nascita, dal Gesù dodicenne che esalta il primato del Padre, la vita nascosta del figlio di Dio a Nazaret che diventano il criterio ermeneutico attraverso il quale leggere la propria esistenza come la scoperta di un tesoro unico ed irripetibile. Fratel Marco ci invita dunque ad avere occhi nuovi facendo esperienza della straordinarietà dell’ordinario così come fu per la Sacra Famiglia. Tale esperienza diventa trasformante, aprendosi alla profezia. L’uomo vive per l’umanità autentica, quella pensata da Dio e che il Signore ha fatto sua in Gesù Cristo. È così che nasce il coraggio della denuncia, che passa primariamente e profeticamente dalla rinuncia di ciò che non è essenziale e dall’annuncio di Colui che ci rivela l’autentica umanità, il Beneamato fratello Gesù. Icona.Maria-CarlaL’autore ci presenta non solo come meta, ma come condizione esistenziale il cuore del Vangelo: la gioia piena e traboccante. Egli affronta il mistero della croce, non come a sé stante, ma profondamente legato alla Resurrezione del Cristo, fonte e causa di felicità per l’uomo di ogni spazio e di ogni tempo.

Concludendo l’autore ci invita a riflettere su una parabola, quella dei talenti. Non possiamo dunque sciupare il nostro tempo, sotterrare la nostra vita. Siamo dunque chiamati a farla fruttificare. Come? La conclusione del testo diviene una ripartenza. Se si vuol trovare la pienezza bisogna ripartire dalla semplicità. Quale semplicità? La semplicità di Nazaret che è la quotidianità, la fraternità vera, la fedeltà all’amore, la grazia del discernimento. Nazaret è lasciare il primato a Dio Amore, è camminare con il cuore ricco di speranza e consolazione. Nazaret è pienezza di vita che ci porta ad uscire dalle tombe dell’orgoglio e dell’egoismo che si fa annuncio di vita, luogo di accoglienza, di dono trasformante che ci fa incontrare il Vivente, colui che si cerca tra i vivi e che ha vinto la morte.

Salvatore Sciannamea

Ringraziamo vivamente il nostro caro amico don Salvatore, presbitero della diocesi di Andria.

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