Siamo giunti all’inizio del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente (10 ottobre). Crediamo dunque opportuno fare ora una breve presentazione degli argomenti che i Padri Sinodali tratteranno e che sono stati illustrati nell’Istrumentum Laboris. Continueremo poi a parlare delle Chiese Assira, Maronita, Melchita e Armena, dopo quelle Copta e Caldea.

L’Istrumentum Laboris, nell’Introduzione sottolinea l’obiettivo del Sinodo, che consiste nel:

a)      “Confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti”

b)      “Ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese sui iuris affinché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente”

Tutto questo tenendo conto della contemporanea presenza nella regione delle altre Chiese e comunità ecclesiali, secondo un profondo spirito ecumenico.

Dopo aver parlato dell’obiettivo viene descritto il metodo: “la nostra riflessione sarà guidata dalle Sacre Scritture, che sono state redatte da uomini ispirati dallo Spirito Santo nelle nostre terre e nelle nostre lingue (ebraico, aramaico, greco) in ambiti ed espressioni culturali che sentiamo nostri.

La Parola di Dio è letta nella Chiesa. Le Scritture ci sono pervenute attraverso le comunità ecclesiali, sono state trasmesse e meditate nelle nostre Sacre Liturgie. Esse sono un riferimento indispensabile per scoprire il senso della nostra presenza, comunione e testimonianza nel contesto attuale delle nostre nazioni” (n. 7).

I temi, che verranno presi in esame dai Padri Sinodali sono stati così raggruppati:

1.       la Chiesa Cattolica in M.O.;

2.       la Comunione Ecclesiale;

3.       la Testimonianza Cristiana.

Vediamo ora analiticamente, nei singoli raggruppamenti, i temi che vogliono presentare le realtà, le sfide, e le speranze di queste Chiese.

I.        LA CHIESA CATTOLICA IN MEDIO ORIENTE

La storia ci dice (è di fondamentale importanza conoscere la storia per capire la situazione ecclesiale attuale in M.O.), che nata a Gerusalemme e diffusasi dovunque “la Chiesa si divise nel quinto secolo in seguito ai Concili di Efeso (431) e Calcedonia (451) principalmente per questioni cristologiche. Questa prima divisione diede vita alle Chiese che sono conosciute oggi con il nome di Chiesa Apostolica Assira d’Oriente e Chiese Ortodosse Orientali, cioè le Chiese Copta, Siriaca e Armena, che venivano chiamate monofisite… I problemi cristologici sono stati superati ai giorni nostri dalle dichiarazioni cristologiche comuni, tra i Papi e i Patriarchi/Catholicos delle Chiese Orientali Ortodosse (Copta, Siriaca e Armena) e della Chiesa Assira d’Oriente” (n. 16).

Molto più grave, con conseguenze che dopo un millennio ancora perdurano, fu “quello che fu chiamato il Grande Scisma, che separò Roma da Costantinopoli, l’Oriente Ortodosso dall’Occidente Cattolico. Qui ancora è del tutto evidente che motivi politico-culturali hanno svolto il ruolo principale…” (n.17).

Tuttavia anche in Oriente come in Occidente la speranza non abbandona le Chiese: “tutte queste divisioni esistono ancora oggi in Medio Oriente, frutto amaro del passato, ma lo Spirito opera nelle Chiese per avvicinarle e far cadere gli ostacoli all’unità visibile voluta da Cristo, affinché esse siano Una nella loro molteplicità a immagine  della Trinità” (n.18).

L’Instrumentum Laboris parla poi del secondo grave problema che hanno i cristiani in M.O. che, dopo essere stati comunità fiorentissime, con l’islamizzazione di tutta l’area sono diventate una scarsa minoranza che rischia o di essere soffocata dalla paura che spinge all’emigrazione, o di cadere in “un atteggiamento ghettizzante” (n.28) ma anche in questo caso grazie alla fede dei pastori e del popolo di Dio il testo, dal n. 19 al n. 31, può enumerare gli impegni apostolici e sociali che quotidianamente le Chiese vivono.

Quali sono le sfide più gravi che i cristiani devono oggi affrontare?

L’Instrumentum Laboris così le enumera:

1)      i conflitti politici nella regione;

2)      libertà di religione e di coscienza;

3)      i cristiani e l’evoluzione dell’Islam contemporaneo;

4)      l’emigrazione;

5)      l’immigrazione cristiana internazionale in Medio Oriente.

I problemi sono vasti e intricati e l’analisi è acuta e sincera. I Padri sicuramente vi passeranno molto del loro tempo non solo a trattarli, ma soprattutto a indicare vie praticabili che aprano squarci di futuro.

II.      LA COMUNIONE ECCLESIALE

È il trattato più breve: è racchiuso in due sole pagine. Ma dalle soluzioni che i Padri daranno ai “desiderata” di quanti hanno risposto a queste domande del questionario dipenderà probabilmente la sopravvivenza del cristianesimo in Medio Oriente.

Il modello è la comunità primitiva. Non può essere altrimenti: pochi, ma un cuore solo e un’anima sola. Pochi, ma come una famiglia allargata, però strettamente unita. In Oriente non è così nella vita sociale ordinaria? Pastori e fedeli, religiosi e laici, movimenti e singoli: una cosa sola in Cristo Gesù.

E poi le varie Chiese non in concorrenza, ma insieme, pur nella propria singolarità che è ricchezza. Solidarietà, comunione, amore. Solo l’amore dei cristiani può avere un futuro (n. 54-61).

III.    LA TESTIMONIANZA CRISTIANA

I temi che i Padri dovranno affrontare, oltre quanto è stato appena detto e proprio per realizzare prima la comunione tra le chiese e tra i cristiani, e poi per creare cuori capaci di dialogo e collaborazione con gli altri credenti e avere personalità ricche e sicure che diano il loro contributo nella polis, come è già stato in passato, l’Instrumentum Laboris, così li enumera:

a)      testimoniare nella Chiesa: la catechesi (nn.62-69);

b)      una liturgia rinnovata e fedele alla tradizione (nn. 70-75);

c)       l’ecumenismo (nn. 70-84; soprattutto 80-82);

d)      rapporti con l’Ebrasimo (nn. 85-94);

e)      rapporti con i Mussulmani (nn. 95-99);

f)       testimonianza nella Civitas (nn. 100-117).

La conclusione è un grido di fiducia nell’amore di Gesù che chiama, precede, dona la vita e vince anche la morte.

“La storia ha fatto sì che diventassimo un piccolo gregge. Ma noi, con la nostra condotta, possiamo tornare ad essere una presenza che conta” (n. 118).

“Anche se, a volte, pastori e fedeli possono cedere allo sconforto, dobbiamo ricordare che siamo discepoli del Cristo risorto, vincitore del peccato e della morte. Abbiamo quindi un avvenire e dobbiamo prenderlo in mano. Ciò dipenderà in gran parte dalla maniera in cui sapremo collaborare con gli uomini di buona volontà in vista del bene comune della società in cui siamo membri… Non temere piccolo gregge (Lc 12,32)” (n. 119).

“Il nostro abbandono alla Provvidenza di Dio significa anche, da parte nostra, una maggiore comunione” (n. 122).

Questi sono i credenti di cui le nostre Chiese hanno bisogno, …consapevoli che testimoniare la verità può portare ad essere perseguitati” (n. 123).

fratel Alvaro