Cari amici e lettori,
il prossimo numero della rivista trimestrale di spiritualità, «Jesus Caritas» 147/luglio 2017, che sta per uscire si colloca in continuità con l’Anno centenario della morte di frère Charles. Dopo la pubblicazione degli Atti del convegno di Roma, ora abbiamo la gioia di offrirvi alcuni testi che aiutano ad approfondire tematiche di rilievo e danno voce a fratelli e sorelle che, da contesti diversi, testimoniano l’attualità della spiritualità foucauldiana. Una sorta quindi di «echi del centenario».
Charles de Foucauld ha messo in pratica, per il mondo credente e non credente, l’ideale di andare fino ai confini della terra portando la Parola buona soprattutto con la vita, attraverso relazioni fraterne, amicali, prossime. Egli ha attraversato il deserto per portare vita a chi era senza vita, «perché mancava loro Gesú». Lo ha fatto mettendosi alla scuola degli abitanti del Sahara, come testimone silenzioso e gioioso, studiando a fondo la loro cultura e la loro lingua. Con il suo modo di evangelizzare, ci ricorda oggi l’importanza di metterci senza posa alla scuola della lingua e della cultura dell’altro. Portare il vangelo significa, per Charles, anzitutto stare con l’altro, volergli bene per quello che è, con gratuità, favorire la sua dignità, a partire dai suoi valori, spesso trascurati dalla società occidentale. Vivere il deserto significa far sì che l’altro sia per me “vita” e che io sia “vita” per lui, per lei.
Charles de Foucauld – scrive Salvatore Sciannamea – non ha predicato ai tuareg, ma li ha accarezzati. Non ha ricevuto premi, ma quel poco di latte che gli ha salvato la vita, durante la sua malattia, offertogli dai tuareg, che lo hanno convertito ulteriormente. Da quella carezza di chi non credeva in Gesù Cristo, ha scoperto qualcosina in più del suo amore, della stessa Trinità. Sono convinto che fa più male il bene non ricevuto che il male fatto. I veri peccati sono quelli che non si fanno, cioè le omissioni. La vita di fr. Charles è stata caricata dall’ossigeno spirituale, lo Spirito, che ha alimentato tutto il suo operato. La sua carezza è stata per la Chiesa una forte ossigenata, un nuovo respiro.
Frère Charles ha amato e promosso tali relazioni e ha creduto in esse. In questo modo, ci ricorda che siamo figli della relazione, figli di una catena di generazioni, uomini e donne di relazione, anche se spesso fatichiamo a vivere i rapporti tra di noi e cerchiamo forme di isolamento. Accade infatti che siamo come degli estranei, uno accanto all’altro, figli del nostro tempo, facilmente catturati da strumenti elettronici che disabituano a rapporti costruiti sull’incontro di sguardi e sulla franchezza fraterna. La Chiesa è luogo per eccellenza di relazione, d’incontro.
L’esperienza di frère Charles – sostiene Daniele Gianotti – potrebbe offrire elementi significativi per pensare il volto di una Chiesa imperniata sull’amicizia, una Chiesa fraterna, amica. Nella tradizione cristiana si è molto parlato della Chiesa Madre, della Chiesa Sposa, della Chiesa Maestra… Ormai è venuto il tempo di pensare il volto di una Chiesa amica, e tanto più amica quanto più il mondo sembra rifiutare questa amicizia o sottrarsi da essa.
Il prossimo numero di «Jesus Caritas», oltre agli articoli, accoglierà anche le nostre rubriche di meditazioni sugli scritti, questa volta, di p.s. Magdeleine e padre Voillaume. Non perdetevi l’occasione!
fratel Oswaldo jc