Il Natale è una festa molto sentita un po’ ovunque. Anche a Nazaret riveste un importanza del tutto particolare. Per noi Piccoli Fratelli, e per tutta la Famiglia di Charles de Foucauld in genere, assume un significato tutto particolare.
Il bambino di Betlemme ci riporta alla piccolezza, quella stessa piccolezza che sarà esaltata da Gesù adulto e presentata come via regia per introdursi e camminare nelle vie del Regno.
Ogni anno ci si ritrova a contemplare la grotta, la santa Famiglia, prima immagine della Chiesa, nella quale il neonato è uno ma i “piccoli” secondo il Vangelo sono tre. Questa scena rappresenta l’icona di tutta la nostra vita religiosa ed il Natale diventa l’occasione per approfondire, per crescere e per imitare.
Quest’anno poi il tempo di Natale è stato segnato dalla presenza di alcune persone che ci hanno accompagnato ed hanno reso la nostra festa ancora più significativa. In ordine cronologico, il 13 dicembre abbiamo accolto papà Sergio e mamma Gina (genitori di Marco) che, come sempre, si sono inseriti in tutti gli aspetti della nostra vita: dalla cucina prelibata alla preghiera di adorazione e di lode, partecipando a tutti i momenti di orazione che la nostra quotidianità offre.
La presenza che ci ha allietato in modo del tutto speciale è stata poi quella del nostro Priore, fratel Paolo Maria. Per la prima volta come responsabile generale è venuto a trovarci per stare un po’ di tempo con noi. La sua attenzione alla nostra fraternità e la sua presenza in questi giorni sono stati motivi di gioia, di consolazione, di approfondimento e consolidamento nella nostra vocazione. Con lui abbiamo anzitutto vissuto assieme, negli aspetti più ordinari del nostro vivere quotidiano. È questo il nostro “stile”, il nostro modo di essere responsabili e di vivere in pienezza la vita fraterna. Nel presentarlo alle persone ed alle diverse comunità religiose non potevo fare a meno di dire che lui è il nostro Priore generale, ma avvertivo che questa definizione non restituiva del tutto il nostro modo di intendere la “responsabilità” verso i fratelli. È un po’ come quando si presenta il “proprium” della nostra famiglia religiosa: il riferirci agli aspetti più semplici della vita, senza opere particolari, rende il nostro “carisma” indecifrabile da parte di quelle persone che, troppo impregnate di una cultura dell’apparenza, non riescono a comprendere il valore di questo stile di vita religiosa. Così, quando si pronunciano le parole fatidiche “Priore generale”, si avverte subito il mettersi sugli attenti, il senso di riverenza e di rispetto per l’istituzione, per il ruolo, per la gerarchia anche di una piccola comunità. A me sembra che questo non riesca ad esprimere fino in fondo il vero senso della “responsabilità”. Senza voler minimamente sminuire il suo ruolo, il Priore generale è anzitutto per noi un fratello che si assume il compito di servire gli altri fratelli nel farsi carico dell’intera comunità e di ogni singolo suo membro. Il Priore assomiglia più ad un padre, in tutti i suoi risvolti di attenzione, di servizio, di affetto e di amicizia. In questo contesto è chiamato a vigilare sull’andamento dell’intera Fraternità preservandone la fedeltà al carisma iniziale, per il quale abbiamo anche la fortuna di avere tra noi il fratello iniziatore della comunità, fratel Gian Carlo. Ho avvertito che la Chiesa ha bisogno di ritrovare questa semplicità che, come ho detto, non sminuisce la responsabilità, ma la rende più vera, più autentica. Si tratta di ritrovare lo spirito dell’autorità come servizio del quale Gesù parla in diversi momenti nel suo Vangelo.
La semplicità e la fraternità sono la strada maestra. Ed a proposito di semplicità credo che porterò a lungo nel mio cuore un’esperienza fatta all’ospedale proprio in questi giorni. Due domeniche al mese celebriamo l’Eucaristia in arabo alle ore 10 e vi partecipano diverse famiglie legate a coloro che nell’ospedale ci lavorano. Domenica scorsa durante la Messa una piccola bambina mangiava il suo panino… Durante l’omelia le dicevo che mi stava facendo venire fame e, scherzando, le chiedevo di darmi un pezzo della sua merenda. Al suo simpatico rifiuto un altro bimbo, di soli tre anni, è partito di corsa dal suo posto per portarmi il suo pezzo di pane (che sono stato costretto a mangiare dopo la fine della celebrazione!). Nel pomeriggio incontrando di nuovo quel bambino l’ho ringraziato per il suo gesto semplice e spontaneo. Lui, con grande spontaneità, mi ha detto: «atina khubzana kafafa yaumina…» («Dacci oggi il nostro pane quotidiano…»). Sono rimasto senza parole, commosso dalla sua semplicità e da come aveva capito, a soli tre anni, una frase importante della preghiera di Gesù…
Questa semplicità ci auguriamo di recuperare tutti, religiosi, preti, padri e madri di famiglia, semplici cristiani, contemplando il mistero di Betlemme, il mistero del Natale.
fratel Marco jc
in questi giorni riflettevo sul “dacci oggi il NOSTRO pane quotidiano,” che forse io ho a sufficienza mentre altri NO !!! Nazaret colpisce ancora !!!!!!
Una preghiera ,un abbraccio. Gianpiero