La liturgia del tempo quaresimale è sempre molto ricca e ci provoca a ripensare la nostra vita sotto diversi punti di vista.

La seconda domenica della quaresima è sempre dedicata al brano della Trasfigurazione. Possiamo entrare, con la meditazione e la preghiera, sempre più all’interno di questo episodio così singolare dei Vangeli.

Come sappiamo, il brano, collocato verso l’inizio del nostro percorso penitenziale, anticipa quanto i discepoli vivranno al termine del viaggio di Gesù a Gerusalemme. Molto spesso si commenta, un po’ banalmente, che l’episodio rappresenta i momenti di particolare “grazia” che di tanto in tanto il Signore ci offre e dai quali non vorremmo mai separarci perché si tratta in qualche modo di anticipazioni di “paradiso” che ci fanno bene e nei quali vorremmo dimorare senza soluzione di continuità.

È vero che Pietro propone a Gesù di costruire tre capanne per prolungare quel particolare momento e per rimanere lì con Lui, a colloquio con Mosè ed Elia. Ma il vangelo ci dice in realtà che i discepoli erano “spaventati”. Una versione inglese dice addirittura “terrified”, terrorizzati. Mi sembra molto importante notare questo stato d’animo perché rappresenta la reazione “normale” di fronte ad una particolare rivelazione di Dio. Ho l’impressione che molto spesso, nella nostra preghiera, parliamo e domandiamo senza sapere bene quello che stiamo chiedendo. Ci sarà capitato di chiedere al Signore di rivelarci qualcosa, di dirci il senso di quello che stiamo vivendo, di indicarci la strada, di spiegarci dove stiamo andando, in una sola parola, di manifestarci il suo Volto. Ma la rivelazione del suo volto implica la manifestazione della sua gloria, dinanzi alla quale l’uomo non può resistere. Basta aprire la Scrittura e andare a leggere alcuni brani di rivelazione particolare di Dio all’uomo. In più occasioni è detto che nessun uomo può vedere il volto di Dio e rimanere vivo. Ed ogni rivelazione che assomigli soltanto un poco alla manifestazione del suo volto, comporta sempre uno “scombussolamento” radicale della vita. Bisogna dunque smettere di invocare la “visione del suo volto”? Senz’altro no. Ma è necessario essere aperti e pronti a riceverla e a lasciarsi turbare dalla rivelazione della sua “Parola” (come in fin dei conti è stato pure per Maria…).

Un’altro elemento che desidero mettere al centro dell’attenzione è la finale dell’episodio della Trasfigurazione. Una domanda che i discepoli si pongono l’un l’altro: «Ed essi tennero fra loro la cosa chiedendosi cosa volesse dire risorgere dai morti». Ho trovato questa espressione particolarmente provocante per noi oggi. Dopo duemila anni possiamo ben dire che ancora stiamo qui a domandarci cosa voglia dire risorgere dai morti. Cosa significhi che il Signore è risorto e che noi risorgeremo con lui, e cosa possa voler dire vivere già ora da risorti.

Questa Parola penso debba essere portata con noi in questo tempo quaresimale, come linea guida per la riflessione e la preghiera. Magari domandando al Signore che ci aiuti ad addentrarci in essa ed a capirne tutta la profondità. Questo potrà costarci fatica e smarrimento, magari anche un po’ di spavento, ma con la sua grazia possiamo arrivare ad essere un po’ più credenti nel Signore crocifisso e risorto.

fratel Marco jc